
Un attacco preventivo. Così l’Idf ha definito l’operazione militare lanciata nella notte contro obiettivi strategici in Iran. Dietro la scelta di aprire un fronte diretto, c’è una valutazione netta: il programma nucleare iraniano avrebbe superato la soglia della tollerabilità, ponendo una minaccia esistenziale per Israele. È questo il messaggio lanciato con forza dal Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, che in un discorso alla nazione ha parlato di “punto di non ritorno”.
Proprio ieri, l’Aiea aveva pubblicato un rapporto d’allarme sull’arricchimento accelerato dell’uranio da parte di Teheran. Un documento che ha confermato i timori di Gerusalemme: l’Iran sarebbe a un passo dalla costruzione della bomba atomica. Ma, secondo fonti della sicurezza israeliana citate dal Times of Israel, le cifre ufficiali potrebbero addirittura sottostimare la realtà. Il processo di militarizzazione sarebbe già in corso e avanzato, con test significativi svolti negli ultimi giorni.
Netanyahu: “Non possiamo lasciare queste minacce ai nostri figli”
In un videomessaggio preregistrato diffuso mentre i raid erano in corso, Benjamin Netanyahu ha ribadito che il regime iraniano possiede già uranio arricchito a sufficienza per produrre nove testate nucleari. Ma ha anche sottolineato un altro fronte critico: l’Iran dispone di missili balistici in grado di colpire ogni punto del territorio israeliano. La minaccia, ha affermato, non è più teorica.

Non si tratta, almeno formalmente, di un’azione mirata al cambio di regime. Il premier ha parlato piuttosto della necessità di “neutralizzare il pericolo immediato”, in un contesto in cui l’Iran starebbe cercando di ricostruire le proprie difese dopo l’attacco limitato subito lo scorso ottobre. Secondo l’intelligence israeliana, le informazioni oggi disponibili sul programma nucleare di Teheran sono particolarmente dettagliate e aggiornate. Questo, unito alla finestra temporale prima del pieno riarmo iraniano, avrebbe fatto propendere per l’intervento immediato.
Colpiti depositi, basi e strutture militari
L’operazione ha preso di mira strutture chiave del programma nucleare e missilistico: laboratori di ricerca, depositi sospetti, impianti strategici e comandanti militari. L’Idf ha definito la missione una “necessità operativa immediata”, un’espressione che riflette lo stato di allerta a Tel Aviv. “Se non agiamo ora, non ci sarà un’altra generazione”, ha detto Netanyahu. Parole forti, che rivelano il grado di preoccupazione e il senso di urgenza con cui è stata autorizzata l’operazione.
Il Capo di Stato Maggiore Zamir ha confermato che l’obiettivo strategico dell’attacco è impedire che l’Iran completi la militarizzazione dell’uranio e possa minacciare direttamente la sopravvivenza dello Stato ebraico. Ma ha anche avvertito la popolazione: nei prossimi giorni Israele potrebbe subire ritorsioni su larga scala, con attacchi missilistici che andrebbero ben oltre i round di droni e razzi visti nell’ultimo anno.
Il rischio di escalation regionale
Il clima è teso. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza speciale, temendo una possibile risposta coordinata dell’Iran e dei suoi alleati regionali, da Hezbollah in Libano agli Houthi nello Yemen. Mentre le capitali occidentali si dividono tra prudenza e sostegno, Israele rivendica il diritto all’autodifesa preventiva.
Dietro le quinte, resta la domanda aperta: fino a che punto il raid israeliano avrà davvero fermato il programma iraniano? E se Teheran risponderà, quale sarà la prossima mossa?