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G7, Calgary: la crisi Israele-Iran fa saltare l’agenda, timori sul pugno di ferro Usa

Pubblicato: 15/06/2025 12:04

Bastano pochi secondi di immagini: la contraerea di Teheran, i missili su Tel Aviv, la tensione negli occhi degli sherpa riuniti alle pendici delle Montagne rocciose. E in un attimo, tutto il lavoro di cesello diplomatico che da giorni preparava il G7 canadese evapora come neve al sole.

Un vertice riscritto in tempo reale

Fino a due giorni fa, si parlava di intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche, cambiamento climatico. Oggi, invece, si ragiona di guerra. Gli europei hanno tentato subito di forzare la mano per inserire un richiamo alla nuova escalation tra Israele e Iran nelle conclusioni ufficiali, ma la bozza resta vuota.

Se ne discuterà nella cena geopolitica di lunedì sera, con un unico rischio: offrire al mondo la foto di un G7 impotente, già minato dalle frizioni sugli aiuti a Kiev e incerto su come intervenire nel nuovo conflitto. Intanto, i canadesi provano a mantenere una linea prudente. Marcano stretto ogni sviluppo, lasciano passare altre ventiquattr’ore per decidere quanto spingere su un appello al riavvio dei negoziati sul nucleare.

Ma lo scetticismo regna sovrano: né Tel Aviv né Teheran danno segnali di tregua. E con i veti americani già calati su Gaza e Ucraina, inserire ora un passaggio a misura di crisi iraniana è un rebus che rischia di suonare come un nuovo smacco a Zelensky, atteso ospite in Alberta.

Trump, l’incognita più ingombrante

Tutto ruota attorno a Donald Trump. Il presidente Usa resta la variabile impazzita capace di polverizzare ore di trattative. Basti ricordare Charlevoix, 2018: la foto simbolo di un Trump sbuffante, circondato dai sei Grandi. E anche stavolta la diplomazia canadese fa gli straordinari per tenerlo buono: gli hanno riservato un golf club di lusso, sperando di distrarlo dal caos di tavoli plenari dove, è noto, fatica a mantenere la concentrazione.

Dietro le quinte, però, si teme un passo ancora più duro: un via libera implicito a colpire Teheran o, peggio, a soffiare sul fuoco di una rivolta interna per chiudere la partita con gli Ayatollah. A parole, tutti ribadiscono che l’Iran non deve avere la bomba. Ma tra chi spinge per un ritorno alla diplomazia – Tajani, Meloni, Bruxelles intera – e chi rema verso lo scontro frontale, l’unità occidentale traballa.

Calgary indifferente, ma la tensione sale

Mentre i Grandi atterrano in Alberta tra orsi e turisti invitati a evitare avventure nei boschi, la politica brucia ben più dei focolai nel sottobosco. Gli ambasciatori di Ottawa insistono: serve ampliare la sessione di politica estera, trovare convergenze minime. Ma la verità è una: se Teheran toccasse basi Usa, la linea Trump potrebbe non conoscere limiti. E allora sì che il vertice diventerebbe il set di una nuova crisi globale.

I timori del mondo sono concentrati su un conflitto che potrebbe diventare dirompente e la possibilità, per nulla remota, che un Paese instabile come l’Iran possa dotarsi della bomba atomica. Sarebbe una catastrofe per l’Occidente e per i delicati equilibri Medio orientali. Con conseguenze ancora difficili da quantificare.

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