
L’apertura del nuovo fronte di guerra tra Israele e Iran ha generato un’immediata reazione sui mercati petroliferi, che hanno registrato un’impennata significativa delle quotazioni. Secondo quanto riportato da Staffetta quotidiana, il prezzo del Brent – il greggio di riferimento per l’Europa – ha segnato un aumento del 10%, salvo poi stabilizzarsi intorno ai 75 dollari al barile, riportandosi sui livelli di inizio aprile.
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Una dinamica che evidenzia la sensibilità del mercato energetico agli sviluppi geopolitici nel Medio Oriente, dove l’acuirsi del conflitto tra due potenze regionali come Israele e Iran alimenta le incertezze sull’approvvigionamento futuro di petrolio e sui potenziali rischi alle infrastrutture energetiche dell’area.

Benzina e gasolio: prezzi in risalita
A farne subito le spese sono stati i prezzi dei prodotti raffinati nel bacino del Mediterraneo, anch’essi saliti ai massimi da inizio aprile. In particolare, si segnala un incremento per la benzina pari all’equivalente di due centesimi al litro, mentre il gasolio ha subito un rialzo ancora più marcato, di tre centesimi al litro.
Come prevedibile, il riflesso sui prezzi alla pompa non si è fatto attendere. Dopo due settimane di relativa stabilità, la media nazionale dei prezzi self service ha visto la benzina superare quota 1,7 euro al litro, mentre il gasolio è tornato sopra 1,6 euro. Si tratta di segnali concreti che l’allarme geopolitico sta già producendo effetti tangibili per i consumatori, con un potenziale impatto sull’inflazione e sulla spesa quotidiana di famiglie e imprese.
Le tensioni geopolitiche e il rischio economico globale
L’instabilità nel rapporto tra Teheran e Tel Aviv rappresenta da sempre una variabile critica per i mercati energetici. Entrambi i Paesi si trovano in un’area strategica per la produzione e il transito di idrocarburi, e qualsiasi escalation militare ha inevitabilmente un effetto speculativo sui prezzi. Gli operatori temono blocchi nei trasporti, sabotaggi alle raffinerie, o sanzioni incrociate che possano alterare gli equilibri globali della domanda e dell’offerta.
La corsa al rialzo del Brent e dei derivati riflette dunque non solo una reazione emotiva dei mercati, ma anche una valutazione concreta dei rischi di approvvigionamento e di instabilità delle rotte commerciali. In un contesto internazionale ancora fragile, con l’economia globale in cerca di stabilità dopo anni di pandemia e conflitti, la nuova crisi mediorientale potrebbe trasformarsi in un fattore moltiplicatore di tensioni economiche.

I timori degli analisti e gli scenari futuri
Gli analisti non escludono ulteriori rialzi dei prezzi, qualora il conflitto dovesse intensificarsi o coinvolgere altre potenze regionali. L’andamento del Brent, per ora sotto la soglia psicologica degli 80 dollari, è monitorato con attenzione da investitori e governi, consapevoli che nuovi picchi potrebbero compromettere la ripresa economica e alimentare pressioni inflazionistiche sui beni di prima necessità.
Per il momento, l’unica certezza è l’immediato impatto sui distributori italiani, dove il ritorno della benzina sopra 1,7 euro/litro e del gasolio oltre 1,6 euro/litro conferma quanto rapidamente le tensioni internazionali si traducano in aggravi per gli automobilisti. Un’ulteriore conferma di quanto fragile sia oggi l’equilibrio energetico, legato a doppio filo alla stabilità geopolitica globale.