
La recente escalation del conflitto tra Israele e Iran solleva un interrogativo cruciale: quanto durerà questa guerra? Le analisi e le previsioni divergono, oscillando tra la possibilità di un’operazione limitata a poche settimane e il timore di un’estensione prolungata delle ostilità.
Un esame approfondito delle posizioni in campo e degli obiettivi dichiarati da entrambe le parti offre uno spaccato complesso e dinamico di questa crisi, con implicazioni che vanno ben oltre i confini regionali.
Le prospettive israeliane
Un funzionario israeliano, citato dal “Times of Israel”, suggerisce che la durata dell’operazione israeliana potrebbe variare dalle due alle tre settimane. La tempistica, tuttavia, è intrinsecamente legata alle decisioni strategiche dei vertici politici israeliani riguardo alla portata della campagna. Esiste, infatti, una serie di “obiettivi militari che possiamo completare abbastanza rapidamente”, indicando la possibilità di un’azione mirata e circoscritta.
Tuttavia, il funzionario non esclude un’estensione della campagna. Qualora si decidesse di ampliare il raggio d’azione per includere “simboli governativi, obiettivi economici e così via”, i tempi si allungherebbero considerevolmente. L’obiettivo ultimo di Israele, secondo quanto affermato, è chiaro: “causare danni sufficienti per tornare alla diplomazia e raggiungere un buon accordo”, con particolare riferimento a un accordo nucleare più stringente tra l’Iran e le potenze occidentali. Questo suggerisce che la durata del conflitto potrebbe essere calibrata non solo sulla distruzione di obiettivi militari, ma anche sulla capacità di esercitare una pressione tale da rimettere in moto i negoziati su basi più favorevoli agli interessi israeliani.

Le previsioni degli esperti
A rafforzare la prospettiva di un conflitto che non si esaurirà in tempi brevissimi è l’opinione di Daniel B. Shapiro, ex responsabile per il Medio Oriente al Pentagono e ora all’Atlantic Council. Shapiro è convinto che “mancano settimane, non giorni, alla fine” di questa vicenda. A suo avviso, le ostilità tra Israele e Iran, innescate dall’attacco israeliano a siti militari e di arricchimento dell’uranio nella Repubblica Islamica e dalla successiva risposta di Teheran, potrebbero protrarsi per settimane. Questa previsione si basa sulla convinzione che la posta in gioco sia troppo alta per entrambe le parti per un rapido disimpegno.
È fondamentale sottolineare come l’attuale situazione rappresenti un netto cambio di passo rispetto agli scontri precedenti. Come ricorda il “New York Times”, fino allo scorso anno, i due Paesi erano soliti confrontarsi con raffiche brevi e limitate, che si concludevano generalmente nel giro di poche ore. In quei frangenti, entrambe le parti cercavano attivamente strategie per allentare le tensioni.
Dallo scorso venerdì, con l’avvio delle operazioni israeliane, la retorica e le azioni sono mutate radicalmente. Sia l’Iran che Israele hanno dichiarato di voler proseguire finché sarà necessario, ampliando la portata degli attacchi. Questo nuovo approccio suggerisce che il conflitto è destinato a durare almeno una settimana, con Israele determinato a proseguire fino alla distruzione, o al contenimento tramite nuovi negoziati, del programma di arricchimento dell’uranio iraniano. Dall’altra parte, Teheran, pur inviando segnali sullo stop al programma, si trova di fronte alla complessa realtà che Israele non possiede capacità note per distruggere autonomamente un sito sotterraneo di arricchimento.
Il “New York Times” evidenzia una cruciale disparità nelle capacità militari. Israele ha colpito con facilità il principale sito di arricchimento a Natanz, ma non dispone delle bombe “bunker buster” di fabbricazione americana, indispensabili per distruggere un sito sotterraneo più piccolo, quello di Fordo. Gli israeliani sperano che gli attacchi contro altri obiettivi siano sufficienti a persuadere l’Iran a fermare le operazioni a Fordo. In tal caso, per la distruzione di quest’ultimo sito, gli americani possiedono le munizioni e gli aerei necessari, indicando una potenziale dipendenza da un intervento esterno qualora gli attacchi israeliani non raggiungessero l’effetto desiderato su Fordo.
Gli obiettivi irriducibili e la Resilienza iraniana
Daniel B. Shapiro ribadisce con fermezza la determinazione israeliana: “Israele continuerà ad andare avanti, in un modo o nell’altro, fin quando l’Iran non avrà più capacità di arricchimento. Ormai è chiaro che se Israele lascerà irrisolto questo punto, la sua campagna avrà fallito”. Questa dichiarazione sottolinea l’importanza strategica che Israele attribuisce alla neutralizzazione del programma di arricchimento nucleare iraniano.
Tuttavia, l’Iran sembra tutt’altro che propenso a capitolare. Sanam Vakil, di Chatham House, osserva che “per ora non vedo alcuna resa da parte di Teheran”. A suo giudizio, è “molto difficile che l’Iran rinunci ai suoi diritti sull’arricchimento”, soprattutto considerando che “il programma iraniano sembra sempre operativo e l’Iran è intatto come Stato”. Gli obiettivi di Teheran sono chiari: “sopravvivere, infliggere danni e dimostrare la loro resilienza”. Questa fermezza iraniana suggerisce che il conflitto potrebbe evolvere in un logoramento, piuttosto che in una risoluzione rapida.

Scenari futuri e implicazioni internazionali
In sintesi, la durata del conflitto Israele-Iran è un’incognita complessa, influenzata da una molteplicità di fattori. Le ambizioni israeliane di smantellare il programma nucleare iraniano e di spingere Teheran verso un accordo più favorevole si scontrano con la resilienza e la determinazione iraniana a mantenere le proprie capacità di arricchimento. La dipendenza da tecnologie esterne per alcuni obiettivi strategici israeliani, unita alla volontà di entrambi i paesi di sostenere la campagna “per tutto il tempo necessario”, fa propendere per una durata di settimane piuttosto che di giorni.
L’evolversi della situazione sarà attentamente monitorato dalla comunità internazionale, poiché le ripercussioni di questo conflitto potrebbero destabilizzare ulteriormente una regione già fragile e avere un impatto significativo sulla sicurezza globale e sulle dinamiche del mercato energetico. La speranza è che la pressione diplomatica, in parallelo alle operazioni militari, possa condurre a una de-escalation e, in ultima analisi, a una risoluzione negoziata che eviti un’ulteriore catastrofe.