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Il merluzzo del supermercato? L’esperto: “Ti mostro cosa c’è davvero dietro”

Pubblicato: 17/06/2025 14:08
merluzzo

Nel cuore gelido dell’Oceano Pacifico, nel Mare di Bering al largo dell’Alaska, enormi navi industriali da pesca come l’Arctic Storm e l’Arctic Fjord calano reti gigantesche, lunghe fino a 500 metri, per catturare una delle specie ittiche più richieste al mondo: il merluzzo dell’Alaska, cioè l’ingrediente principale di molti prodotti surgelati, dai bastoncini di pesce ai filetti confezionati che troviamo quotidianamente nei supermercati. Spesso etichettato come “pesca sostenibile”, questo pesce viene promosso come simbolo di un’industria efficiente. Ma è davvero così? Sebbene la legge americana imponga l’uso di dispositivi anti-bycatch per evitare la cattura accidentale di specie protette come il salmone chinook, la realtà ambientale è ben diversa. Le reti usate da queste navi finiscono spesso per strisciare sul fondale marino, causando la distruzione degli habitat bentonici, fondamentali per specie già minacciate come il granchio king e il granchio tanner, e alterano gli ecosistemi locali, che potrebbero impiegare decenni per rigenerarsi, ammesso che ci riescano.
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È davvero pesca sostenibile o avviene altro?

La pagina Pildoranews ha pubblicato sui social un video che spiega molto bene la situazione. Molti prodotti nei supermercati riportano la dicitura “pesca gestita in modo sostenibile”, ma questo non basta. La sostenibilità della pesca non può basarsi unicamente sulla quantità pescata o sul rispetto di alcune normative: deve considerare l’impatto ambientale complessivo dell’attività di pesca industriale. Una rete lunga quanto cinque campi da calcio, anche se regolamentata, non può essere considerata sostenibile se devasta i fondali marini per ottenere pesce destinato – troppo spesso – alla produzione di cibo da fast food.

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