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Omicidio di Garlasco, la scienza entra in scena: cinque quesiti per riscrivere la verità

Pubblicato: 17/06/2025 06:59

C’è un momento, in ogni storia giudiziaria, in cui la narrazione smette di essere ideologica, interpretativa, retorica. È il momento in cui a parlare sono i dati, le molecole, le tracce che non mentono. Oggi, nel caso Chiara Poggi, quel momento è arrivato. Dopo anni di sentenze, revisioni, perizie contrapposte, il delitto di Garlasco si rimette nelle mani della scienza forense, in una nuova perizia disposta dalla giudice Daniela Garlaschelli, che potrebbe riaprire il processo oppure confermare, con basi più solide o più deboli, le verità già acquisite.

Non è un atto qualunque. È un passaggio che segna una discontinuità nel metodo, perché si svolgerà in contraddittorio tra tutte le parti: i legali di Andrea Sempio, oggi indagato, quelli della famiglia Poggi, i pubblici ministeri di Pavia e la difesa di Alberto Stasi, già condannato in via definitiva a 16 anni di carcere. Al centro, cinque quesiti che i periti avranno novanta giorni per esaminare, salvo proroghe. Cinque domande tecniche che potrebbero cambiare il corso dell’inchiesta, a partire da oggi, alle 10.30, quando si aprono le operazioni presso il Gabinetto regionale della polizia scientifica di Milano.

Il Dna sotto le unghie: è davvero di Sempio?

Il primo punto è cruciale: analizzare i profili genetici estrapolati dai margini ungueali di Chiara Poggi, ottenuti dal perito Francesco De Stefano durante il processo d’appello-bis. Secondo Carlo Previderè, genetista dell’Università di Pavia e consulente dell’accusa, quel dna — seppur scarso — sarebbe sovrapponibile a quello di Andrea Sempio, amico di Chiara e frequentatore abituale della villetta di via Pascoli. Una tesi che, se confermata, riscriverebbe completamente la scena del delitto.

Ma proprio De Stefano — il perito che aveva condotto le analisi in sede di processo — aveva concluso all’epoca che il dna fosse “non attribuibile”, troppo degradato per ricondurlo a una persona. È su questo punto che si gioca la prima battaglia scientifica: con le tecniche oggi disponibili, è possibile ottenere un confronto più attendibile? Il tribunale vuole una risposta chiara, che sgombri il campo da ambiguità. Non è solo una questione tecnica, è il cuore dell’eventuale accusa a Sempio.

Le impronte genetiche e quella misteriosa numero 10

Il secondo quesito riguarda la possibilità di estrarre dna dai “para-adesivi” delle impronte rinvenute sulla scena del crimine e dagli oggetti già passati per i laboratori dei RIS di Parma. In particolare, si torna sulle impronte lasciate sulle scale della cantina, luogo in cui venne ritrovato il corpo senza vita della ragazza. Una in particolare, la numero 33, è stata assegnata nelle nuove indagini proprio a Sempio, diventando uno dei capisaldi del sospetto.

Ma oggi i periti sono chiamati a rivalutare un’altra traccia, la numero 10, una impronta mai identificata. Non appartiene né a Stasi né a Sempio, e potrebbe — secondo l’ipotesi degli inquirenti — indicare una presenza terza, forse un complice o comunque una persona che ha agito in sinergia. Una pista ancora fragile, ma che — se trovasse riscontro genetico — potrebbe spostare definitivamente l’asse delle responsabilità.

L’elenco dei reperti dimenticati

Il terzo quesito punta a un’area finora trascurata: quella dei campioni biologici mai analizzati o analizzati con esito inconcludente, ancora custoditi presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Pavia. Si tratta di una serie di reperti che vanno dai frammenti del tappetino del bagno, alle confezioni di tè, da un vasetto di yogurt a sacchetti di biscotti e cereali, oggetti apparentemente marginali ma che potrebbero contenere tracce genetiche residuali.

La domanda è semplice: ci sono tracce biologiche, anche minime, che possono essere ricondotte a Sempio o ad altri soggetti mai considerati? E soprattutto: quei reperti furono contaminati? Furono maneggiati correttamente dagli investigatori nei primi giorni? Anche qui, i periti dovranno confrontarsi con una scena del crimine notoriamente compromessa dalle gravi negligenze iniziali.

Un gigantesco confronto genetico

Il quarto quesito — forse il più impegnativo dal punto di vista pratico — impone ai periti di effettuare una comparazione sistematica tra tutti i profili genetici estratti e quelli di una lunga lista di soggetti potenzialmente coinvolti. Oltre a Sempio, Stasi e ai familiari di Chiara Poggi, saranno confrontati anche i dna di amici dei due giovani: Mattia Capra, Roberto Freddi, Alessandro Biasibetti, Marco Panzarasa, ma anche Stefania e Paola Cappa, due donne presenti nei fascicoli.

E non è tutto: saranno analizzati i profili genetici anche dei carabinieri intervenuti per primi sulla scena, tra cui Gennaro Cassese, Marco Pizzamiglio, Giancarlo Sangiuliano e Marco Ballardini. Un’operazione complessa, che richiederà probabilmente nuovi prelievi e, se necessario, il ricorso a prelievi coattivi autorizzati dal giudice. Lo scopo è escludere contaminazioni, ma anche evitare che eventuali tracce anomale restino senza paternità.

La posta in gioco: riscrivere il delitto

L’ultimo quesito non è tecnico, ma implicito: che strada prenderà l’inchiesta dopo le risposte della scienza?. L’appuntamento è fissato per il 24 ottobre, data in cui i periti dovranno riferire le loro conclusioni. Ma molto potrebbe accadere anche prima. La Procura di Pavia punta a verificare la tenuta della condanna a Stasi, ma soprattutto a capire se la pista Sempio possa diventare — con basi scientifiche — una nuova verità processuale.

È una sfida delicatissima, che si muove sul confine tra diritto e biologia, tra ciò che può essere dimostrato e ciò che è stato detto. In ballo non c’è solo la libertà di un uomo già condannato, ma anche la possibilità di correggere un errore giudiziario, o di sconfessare una pista alternativa. A vent’anni dal delitto, il caso Poggi si presenta di nuovo davanti alla giustizia. Ma stavolta, a guidare il processo, saranno le tracce rimaste nel silenzio.

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