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Maturità, che voto hanno preso Meloni, Salvini e Renzi? Nessuno se lo sarebbe mai aspettato!

Pubblicato: 18/06/2025 13:58
maturità voto politici

C’è il silenzio teso del corridoio, la sedia traballante, lo sguardo fisso sul soffitto che sembra suggerire le risposte. C’è l’odore della carta, dell’inchiostro appena steso, dei dizionari consumati, dei panini nascosti in fondo allo zaino. C’è chi scrive freneticamente e chi guarda fuori dalla finestra cercando nel cielo d’estate una via d’uscita. È il giorno della prima prova della maturità. Un giorno che sa di rito di passaggio, di battesimo collettivo. Un momento che, in Italia più che altrove, ha il peso simbolico di una soglia tra l’adolescenza e la vita adulta. È una prova che non si dimentica, perché racconta molto più di un programma scolastico: racconta chi eravamo prima di diventare qualcosa.

Oggi, 18 giugno, migliaia di studenti affrontano la loro prima prova scritta. Si alzano presto, qualcuno ha dormito male, altri hanno passato la notte a ripassare o semplicemente a pensare. Non importa il voto finale: in quelle ore si condensano ansie, aspettative, sogni, rivincite. La maturità è un teatro dove si recita per sé stessi e per gli altri, ma soprattutto è una cartina al tornasole di carattere, resistenza, e – sì – anche di fortuna.

Maturità, che voto hanno preso i politici

Cosa succede se guardiamo indietro, se alziamo lo sguardo dalle aule di oggi e diamo un’occhiata a chi oggi siede nei palazzi del potere? Come se la sono cavata, alla maturità, i nostri leader politici? Cosa raccontano i loro voti, i loro percorsi, i loro licei o istituti tecnici, delle persone che sono diventate?

Alcuni, come Giorgia Meloni, hanno lasciato il segno già tra i banchi di scuola. La presidente del Consiglio si è diplomata con il massimo dei voti, 60/60, all’Istituto tecnico professionale “Amerigo Vespucci” di Roma. Una scelta, quella dell’istituto tecnico, che rompe lo stereotipo della classe dirigente formata esclusivamente nei licei classici, e che racconta di una ragazza determinata, fuori dagli schemi, che già allora non aveva paura di distinguersi. Quel 60, per Meloni, non è solo un voto, ma una dichiarazione: non serve il percorso tradizionale per arrivare in cima.

Anche Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio ed ex enfant prodige della politica italiana, ha ottenuto il massimo: 60/60 al liceo classico “Dante Alighieri” di Firenze. Un risultato che conferma la sua immagine da “secchione ambizioso”, capace di passare con disinvoltura dal greco antico al tweet pungente. Dopo il diploma, ha proseguito con una laurea in Giurisprudenza: un cursus honorum da politico di razza.

Stesso destino per Giuseppe Conte, anch’egli 60/60 al classico “Pietro Giannone” di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia. In lui c’è l’archetipo dell’intellettuale di provincia che si fa strada grazie allo studio, fino a diventare presidente del Consiglio. La sua carriera da avvocato civilista e docente universitario ha le radici proprio in quel voto, che è insieme merito e simbolo di una certa Italia che ancora crede nell’ascensore sociale.

E poi c’è Elly Schlein. Anche lei ottiene il massimo dei voti, ma in un contesto diverso: il liceo cantonale di Lugano, in Svizzera, dove è cresciuta. Un percorso scolastico internazionale, culminato poi in una laurea in Giurisprudenza a Bologna, che riflette la sua identità fluida, europea, progressista. In lei il voto massimo alla maturità non è tanto un trofeo quanto un biglietto da visita: rigore, determinazione, ambizione intellettuale.

Non tutti, però, hanno raggiunto l’eccellenza tra i banchi. Antonio Tajani, oggi ministro degli Esteri e figura di primo piano di Forza Italia, ha ottenuto 48/60 al liceo classico “Torquato Tasso” di Roma. Un voto solido, ma lontano dalla perfezione, che ci restituisce l’immagine di uno studente probabilmente diligente ma non brillante. Tajani ha poi recuperato con una laurea in Giurisprudenza e un lungo cursus honorum nelle istituzioni europee. La sua traiettoria dimostra che la maturità non è un sigillo definitivo, ma solo una tappa.Stesso voto – 48/60 – per Matteo Salvini, leader della Lega. Anche lui proviene da un liceo classico, l’“Alessandro Manzoni” di Milano.

Il voto alla maturità: quanto conta davvero?

Ma allora, cosa ci dicono questi numeri? Che chi prende 60/60 avrà un futuro radioso? Che un 48 è una condanna? Niente affatto. La maturità è uno specchio deformante. Può raccontare l’impegno, la passione, il rigore – certo – ma spesso riflette anche contingenze, disuguaglianze, contesti. Non tutti partono dallo stesso punto, e non tutti i voti pesano allo stesso modo.

Per qualcuno, la maturità è un trampolino. Per altri, solo una tappa. Ci sono studenti che oggi ottengono voti modesti e domani cambieranno il mondo. E ci sono voti eccellenti che non lasceranno traccia. Perché la vita vera inizia dopo l’esame, quando nessun commissario assegna punteggi, e la resilienza vale più di qualsiasi versione di latino.

Eppure, qualcosa rimane. Rimane il ricordo di un giorno d’estate in cui si è stati chiamati a dimostrare di essere “maturi”, anche se si era ancora ragazzi. Rimane quel brivido sulla schiena mentre si consegna il foglio. Rimane il senso profondo di una prova che è al tempo stesso personale e collettiva.

Guardare ai voti di chi oggi governa è un esercizio di curiosità, ma anche un invito alla riflessione. Perché se è vero che molti leader hanno brillato fin da giovani, è altrettanto vero che la politica, come la vita, si gioca spesso altrove: nei compromessi, nelle decisioni difficili, nella capacità di ascoltare e guidare. E per quello, nessun voto può bastare.

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