
Ci sono partite che si vincono, e partite che si perdono. Ma poi ci sono quelle che fanno male, che sorprendono, che ti lasciano un nodo in gola. Non perché si è perso un trofeo, ma perché ci si era abituati all’idea che Jannik Sinner fosse invincibile, o almeno quasi. E invece anche i migliori cadono. Anche il numero 1 del mondo, quello che ci ha fatto sognare da Melbourne a Miami, può inciampare sull’erba in una giornata storta, contro un avversario ispirato.
La sconfitta con Bublik non cambia nulla. O forse cambia tutto. Perché ci ricorda — e gli ricorda — che ogni traguardo è solo una tappa, che la vetta non è un punto di arrivo ma un equilibrio precario. E che restare lassù, tra i giganti, richiede non solo talento ma cuore, umiltà, forza mentale. Quelle stesse qualità che Sinner ha mostrato anche oggi, uscendo dal campo senza platealità, con lo sguardo fiero e lo stile di chi è abituato a guardare avanti.
Il tifo vero comincia adesso
Chi ama lo sport lo sa: è facile tifare quando tutto va bene, quando i colpi entrano, quando si alzano coppe e si scrivono record. Ma il tifo vero si misura nel silenzio che segue una sconfitta. Nel messaggio che ognuno di noi vorrebbe mandare: “Ci siamo. Anche adesso. Forza Jannik.” Perché la delusione di un giorno non cancella la bellezza di un percorso. Perché oggi Bublik ha vinto una partita, ma Sinner ha già vinto la fiducia di un Paese intero.
L’Italia sportiva ha trovato in lui qualcosa che da tempo mancava: un campione normale, vero, solido, con i piedi a terra e la testa sulle spalle. E oggi, proprio oggi, quel legame si rafforza. Perché sappiamo che tornerà più forte, più affamato, più pronto. Lo ha sempre fatto.
La prossima rincorsa è già cominciata
La strada per Wimbledon è ancora lunga. E sarà proprio da questa battuta d’arresto che nascerà la prossima rincorsa. Lo abbiamo visto crescere col sudore, passo dopo passo. Lo abbiamo visto sorridere anche sotto pressione. Lo abbiamo visto perdere — sì — ma mai smettere di lottare.
Forza Sinner. Tifiamo tutti per te. Non perché sei perfetto, ma perché sei umano. Perché sei nostro. E perché ogni tua caduta ci fa già aspettare, con emozione, il prossimo volo.