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Garlasco, la verità sull’incidente probatorio: il dna nel Fruttolo e il sangue sul telefono

Pubblicato: 20/06/2025 22:22

Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco, torna prepotentemente sotto i riflettori grazie a una nuova svolta investigativa. Questa sera Quarto Grado, in onda su Rete 4, dedicherà ampio spazio all’incidente probatorio disposto dalla Procura di Pavia, che ha portato alla riesumazione di alcuni reperti mai analizzati in precedenza. Si tratta di oggetti apparentemente banali, come vasetti di Fruttolo, un brick di tè, una buccia di banana e un frammento insanguinato di tappetino: elementi che potrebbero contenere tracce di Dna potenzialmente decisive.

A far discutere è anche la recente iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio, amico di Chiara, mai coinvolto ufficialmente nell’inchiesta fino a pochi anni fa. Il suo nome era emerso tempo fa in una perizia di parte, a seguito di una presunta traccia biologica trovata sulla tastiera del computer della vittima. Oggi, questa ipotesi investigativa prende nuova forza e viene rilanciata dalle indagini della Procura, con l’obiettivo di individuare soggetti diversi da Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara e condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni di carcere.

A Quarto Grado, l’avvocato di Sempio, Massimo Lovati, ha dichiarato: «Ora sono più sereno, ma ho avuto un incubo in cui tutto riemergeva, ero sudato». Le sue parole riflettono la tensione legata a questa riapertura del caso. La trasmissione Mediaset ricostruisce i dettagli di questa nuova fase, evidenziando come la giustizia stia cercando di fare luce su un delitto che, a distanza di quasi vent’anni, continua a sollevare dubbi e interrogativi.

Marzio Capra, consulente della famiglia Poggi, ha messo in evidenza una criticità importante: i reperti sono stati conservati per otto mesi nello stesso sacchetto, una condizione che potrebbe aver causato contaminazioni incrociate e quindi minato l’integrità del materiale genetico. Un’ulteriore complicazione è rappresentata dal blackout che ha colpito la Questura di Milano durante l’ultima sessione di analisi, bloccando l’esame di quattro delle trentaquattro impronte rilevate.

Uno dei reperti più rilevanti è l’impronta n. 10, rinvenuta sulla porta della casa di Chiara. Se venisse confermata la presenza di sangue, si aprirebbe un nuovo scenario nella ricostruzione dell’omicidio, potenzialmente in grado di incrinare la narrazione consolidata negli anni, che vede Alberto Stasi come unico colpevole. Le indagini in corso puntano quindi a stabilire se esistano prove materiali in grado di supportare piste investigative alternative.

Paolo Reale, cugino di Chiara e consulente di parte civile, ha espresso forti riserve sull’efficacia di queste nuove analisi. Secondo lui, il Dna raccolto anni fa, come quello sotto le unghie della vittima, è già stato scientificamente esaurito, e le condizioni di conservazione degli oggetti rispolverati oggi non permetterebbero risultati attendibili. Reale sottolinea inoltre che i reperti non furono analizzati inizialmente non per disattenzione, ma perché mancava una concreta ipotesi investigativa collegata a essi.

I vasetti di Fruttolo, ad esempio, erano contenuti nella spazzatura trovata in cucina, e furono ritenuti all’epoca ininfluenti per lo sviluppo delle indagini. Oggi però potrebbero assumere una nuova valenza, se contenessero impronte digitali o tracce biologiche di soggetti allora non sospettati. Il 4 luglio è prevista una nuova sessione di esami su questi reperti, nel tentativo di trovare elementi ancora utilizzabili per un’eventuale revisione del processo.

Nonostante l’interesse mediatico e la curiosità pubblica per ogni possibile colpo di scena, i tecnici invitano alla cautela. Il rischio è che i risultati siano poco significativi, sia per la vetustà dei campioni sia per la loro possibile contaminazione. Tuttavia, il solo fatto che si torni a parlare del caso Garlasco in termini di giustizia ancora da completare mostra quanto questo omicidio non abbia mai smesso di turbare l’opinione pubblica. E forse, anche a distanza di anni, qualche verità deve ancora emergere.

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