
Nel cuore di un Medio Oriente ancora una volta in ebollizione, l’Iran si ritrova ad affrontare una delle crisi più complesse e delicate della sua storia recente, con un isolamento che si fa di ora in ora più evidente.
L’offensiva israeliana, sostenuta senza ambiguità da Stati Uniti e Regno Unito, vuole costringere Teheran a tornare al tavolo delle trattative “in ginocchio“, come sottolinea il quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, vicino all’autorità del Qatar, uno dei pochi alleati rimasti nel Golfo insieme all’Oman.
L’asse della resistenza si sfalda
Se un tempo il cosiddetto Asse della resistenza rappresentava lo scudo esterno di Teheran, oggi appare logorato e in difficoltà: Hezbollah è fiaccato dai bombardamenti sistematici nel Sud del Libano; la Siria, un tempo retrovia strategica dell’Iran, è ormai governata da una leadership ostile che ha progressivamente allontanato le milizie filo-iraniane.
In Iraq, Baghdad cerca faticosamente di assumere una posizione neutrale mentre argina la pressione delle milizie pro-Teheran; nello Yemen, gli Houthi continuano a lanciare razzi verso Israele ma l’impatto strategico resta marginale.

Teheran senza scudo: colpita nel cuore
Questo indebolimento del proprio network regionale costringe l’Iran a rispondere in prima persona agli attacchi di Tel Aviv, una novità che rappresenta un vero stress test per la resilienza della Repubblica Islamica. Israele, come evidenzia Al-Araby Al-Jadeed, ha dimostrato di poter penetrare in profondità nei confini iraniani, conducendo operazioni mirate e attacchi dall’interno che disorientano la catena di comando di Teheran.
Sullo scacchiere internazionale, la solitudine dell’Iran è ancora più lampante: la Cina si limita a invocare il dialogo e teme, in realtà, un’escalation che possa minacciare i corridoi energetici vitali per la sua economia. La Russia, partner strategico di Teheran, non ha vincoli di assistenza militare e sta dosando la propria neutralità per non compromettere i rapporti con Israele, ritagliandosi piuttosto il ruolo di potenziale mediatore.
Le crepe nel fronte dei presunti alleati
Nemmeno l’ingresso nei BRICS ha garantito a Teheran un sostegno operativo: l’alleanza è troppo eterogenea e, in alcuni casi, disinteressata a un confronto diretto con Israele. L’India, ad esempio, ha rapporti consolidati con Tel Aviv e non ha alcun incentivo a schierarsi. Il Pakistan, pur con retorica a sostegno dell’Iran, non intende avventurarsi in un conflitto che potrebbe farlo precipitare in un baratro economico.

Persino la Turchia, nonostante le condanne di facciata all’offensiva israeliana, resta defilata: Ankara teme un collasso dell’Iran che innescherebbe flussi migratori incontrollabili e nuovi focolai di instabilità ai propri confini. Allo stesso tempo, mantiene aperti e attivi i canali diplomatici con Israele, rafforzando il proprio ruolo di pivot tra Est e Ovest.
L’orizzonte: uno scontro ancora aperto
Nonostante l’abilità dimostrata da Teheran nel colpire obiettivi sensibili in Israele, le conseguenze militari restano, a detta di fonti israeliane, entro limiti accettabili. Tel Aviv, forte del sostegno pieno di Washington, non mostra intenzione di rallentare la sua campagna militare, certa che un Iran indebolito porti benefici diretti alla sua sicurezza e al suo ruolo di potenza egemone in Medio Oriente.
In questo quadro, cresce l’inquietudine nei Paesi del Golfo, i quali temono che un Iran messo all’angolo possa innescare reazioni imprevedibili, e che Israele, consolidata la sua vittoria, allarghi la propria influenza nella regione senza più contrappesi.
Il conflitto, iniziato a Gaza e propagatosi a Beirut, Damasco e ora Teheran, è ormai oltre allo status di guerra locale: è il banco di prova di un nuovo equilibrio regionale, con un Iran sempre più isolato e Israele deciso a dettare le regole del gioco.