
Nel giallo del delitto di Garlasco, un nuovo elemento riaccende i riflettori sul testimone considerato inattendibile, Marco Muschitta, l’operaio che nel settembre 2007 disse di aver visto una ragazza bionda in bicicletta allontanarsi dalla villetta di via Pascoli la mattina dell’omicidio di Chiara Poggi, salvo poi ritrattare tutto. A distanza di anni, emerge una registrazione inedita, pubblicata in esclusiva da Il Tempo, in cui due figure chiave dell’epoca parlano apertamente di minacce, pressioni e pagamenti per farlo tacere.
Nell’audio, registrato il 17 luglio 2022, si ascoltano l’ex maresciallo dei carabinieri Francesco Marchetto e Alfredo Sportiello, dirigente dell’Asm di Vigevano e responsabile diretto di Muschitta. Parlando del silenzio del testimone dopo il clamore iniziale, Sportiello lo definisce «un quaquaraquà, non è un uomo», e aggiunge: «sicuramente l’han minacciato… magari gli han dato anche dei soldi per stare zitto». Una dichiarazione che getta nuove ombre sul comportamento degli inquirenti all’indomani dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007.
Secondo quanto emerso, Muschitta aveva confidato quella versione — la ragazza bionda in bici con un oggetto simile a un alare da camino — al suo superiore già il 27 settembre 2007, data in cui fu ascoltato per oltre quattro ore dai carabinieri, con un verbale interrotto due volte senza spiegazione. In un secondo momento dichiarò: «Mi sono inventato tutto perché sono uno stupido», e venne prosciolto da un’accusa di calunnia nei confronti di Stefania Cappa, la donna su cui aveva puntato il dito.
Le intercettazioni successive con il padre — in cui il genitore sembra alludere a pressioni ricevute — furono ritenute irrilevanti. Ma l’audio di Marchetto e Sportiello rafforza l’idea che il tecnico del gas fosse stato convinto a ritrattare. Lo stesso Sportiello, nel verbale del 9 ottobre 2007, confermava di aver raccolto il racconto spontaneo di Muschitta e di aver consegnato agli inquirenti i fogli di servizio, che collocavano l’operaio proprio in via Pascoli nell’ora indicata.
Durante la conversazione, Marchetto commenta: «Chissà che minacce gli han fatto però?», e Sportiello replica: «Lì è stato Cassese… sicuramente per via di quelle due ragazze lì… è sicuro». Il riferimento sembra rivolto al comandante dei carabinieri Gennaro Cassese, che ascoltò la dirigente amministrativa Maria Lucianer in Procura lo stesso giorno in cui Muschitta fu sentito dal pm Rosa Muscio. Un incrocio che avrebbe meritato, secondo gli interlocutori, più attenzione da parte degli inquirenti.
Sportiello, nell’audio, insiste sulla buona fede del testimone: «Lui non se l’è inventata… come l’ha raccontata a me, io davanti alla direttrice gliel’ho raccontata uguale». Ma allora perché fu trattato come un mitomane, senza essere mai indagato per falsa testimonianza né richiamato per ulteriori chiarimenti?
Una distrazione investigativa o una scelta deliberata? L’audio riapre interrogativi mai sopiti sul metodo con cui fu condotta l’indagine, che nel settembre 2007 portò al fermo dell’allora fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, poi condannato in via definitiva nel 2015. Resta il nodo: quanto avrebbe potuto cambiare la traiettoria del processo se la testimonianza di Muschitta fosse stata trattata con un altro approccio?