
Le recenti dichiarazioni del Consigliere del Leader Supremo dell’Iran, che paventano la chiusura dello Stretto di Hormuz come “una delle possibili opzioni” in risposta all’escalation delle tensioni con gli Stati Uniti e Israele, hanno gettato un’ombra minacciosa sui mercati globali e sul futuro dell’economia mondiale.
Questo cruciale snodo marittimo, attraverso il quale transita un impressionante 30% del petrolio mondiale, si configura come il ventre molle del commercio internazionale, e la sua potenziale interruzione innescherebbe una catena di reazioni a cascata con conseguenze devastanti per l’Europa, l’Italia e l’intero sistema economico globale.
Campanello d’allarme preoccupante
L’attacco statunitense ai siti del programma nucleare iraniano ha già provocato un’immediata e significativa impennata dei prezzi del petrolio. Il WTI (West Texas Intermediate) ha registrato un balzo iniziale fino al 13%, stabilizzandosi successivamente intorno ai 77 dollari al barile. Gli analisti prevedono un’apertura in forte rialzo per lunedì 23 giugno, con possibili picchi fino a 90 dollari per il WTI. Le prossime 48-72 ore saranno cruciali per decifrare la direzione dei mercati, in attesa della risposta iraniana e delle possibili ritorsioni contro le basi USA in Medio Oriente, eventi che potrebbero determinare l’entità della turbolenza imminente.

Le conseguenze del blocco
Un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz non sarebbe semplicemente un incidente isolato, ma un evento sismico con ripercussioni sistemiche sul commercio globale e un elevato rischio di innescare una nuova crisi economica mondiale.
- Prezzi dell’Energia alle Stelle: Il transito del 30% del greggio mondiale attraverso Hormuz rende lo stretto un punto di strozzatura insostituibile per l’approvvigionamento energetico. Un suo blocco comporterebbe un’immediata e drastica riduzione dell’offerta, scatenando un’impennata vertiginosa dei prezzi del petrolio. Le analisi di Oxford Economics stimano che la chiusura dello Stretto di Hormuz potrebbe spingere il prezzo del petrolio fino a 130 dollari al barile, cifra che rappresenta un aumento sbalorditivo e insostenibile per molte economie.
- Inflazione Galoppante e Rallentamento della Crescita: L’aumento dei costi energetici si tradurrebbe rapidamente in un’accelerazione dell’inflazione. Come rileva Start Magazine, basandosi su stime della Federal Reserve, un aumento di soli 10 dollari del prezzo del petrolio può incrementare l’inflazione dello 0,4% e, allo stesso tempo, ridurre la crescita economica dello 0,4%. In uno scenario da 130 dollari al barile, queste percentuali si moltiplicherebbero, mettendo a dura prova il potere d’acquisto dei cittadini e la redditività delle imprese. Il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, ha già avvertito che “se persistono i rialzi, possono filtrare nei costi alla produzione e nelle bollette energetiche nell’Ue”, preannunciando un onere insostenibile per le famiglie e le industrie europee.
- Ripercussioni sul Commercio Globale: Oltre al petrolio, lo Stretto di Hormuz è una rotta vitale per il trasporto di gas naturale liquefatto (GNL) e altre merci. Un blocco prolungato interromperebbe le catene di approvvigionamento globali, creando carenze di materie prime e prodotti finiti, ritardi nelle consegne e un aumento generalizzato dei costi di trasporto. Questo scenario colpirebbe settori chiave dell’economia globale, dalla manifattura al commercio al dettaglio, innescando una recessione su vasta scala.
Cosa rischia l’Italia
L’Italia e l’Unione Europea, fortemente dipendenti dalle importazioni energetiche, sarebbero tra le regioni più colpite da un blocco dello Stretto di Hormuz. L’aumento esponenziale dei prezzi del petrolio e del gas si tradurrebbe direttamente in bollette energetiche insostenibili per famiglie e imprese, mettendo a rischio la competitività dell’industria e il benessere sociale. La già fragile ripresa economica post-pandemica verrebbe messa a dura prova, con il rischio concreto di un ritorno alla stagflazione – una combinazione pericolosa di inflazione elevata e stagnazione economica. La dipendenza europea dal petrolio mediorientale rende la regione particolarmente vulnerabile a questo tipo di shock esterni.

Un autogol per l’Iran?
È cruciale sottolineare che, sebbene la chiusura dello Stretto di Hormuz venga presentata come una possibile arma di ritorsione da parte dell’Iran, essa rappresenterebbe, in realtà, un autogol strategico per Teheran. Hormuz è la via marittima più rapida e sicura per l’esportazione del petrolio iraniano verso l’Asia, evitando i pericoli degli attacchi Houti. Un blocco priverebbe l’Iran della sua principale fonte di reddito, aggravando ulteriormente la sua già precaria situazione economica interna, già segnata da sanzioni internazionali e instabilità. Al contrario, i maggiori produttori di petrolio della regione, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, dispongono di alternative (come oleodotti verso il Mar Rosso), sebbene con capacità limitate, che li renderebbero meno dipendenti dallo stretto in caso di blocco.
J.D. Vance: «Chiudere lo Stretto di Hormuz sarebbe un suicidio per l’Iran»
Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, ha definito «suicida» l’eventuale decisione dell’Iran di bloccare il transito nello Stretto di Hormuz, crocevia strategico per il traffico energetico globale. Intervenendo sull’emittente ABC, Vance ha commentato il piano approvato oggi dal Parlamento iraniano – in risposta agli attacchi americani contro infrastrutture nucleari iraniane – sottolineando le gravi conseguenze che una simile mossa comporterebbe per Teheran stessa.
«L’intera economia iraniana dipende dallo Stretto di Hormuz», ha dichiarato. «Se davvero vogliono affossare la propria economia e destabilizzare il mondo, allora questa è la strada. Ma non riesco a capire perché dovrebbero farlo: è una decisione che non ha alcun senso».
La misura approvata dal Parlamento dovrà ora ottenere il via libera del Consiglio di Sicurezza nazionale iraniano per diventare operativa, secondo quanto riportato dalla televisione di Stato Press TV.