Vai al contenuto

Perché gli Usa hanno attaccato l’Iran e sono entrati in guerra

Pubblicato: 22/06/2025 09:16
US President Donald Trump numerous executive orders, including pardons for defendants from the January 6th riots and a delay on the TikTok ban, on the first day of his presidency in the Oval Office of the White House in Washington, DC, USA, 20 January 2025. Trump, who defeated Kamala Harris to become the 47th president of the United States, was sworn in earlier in the day, though the planned outdoor ceremonies and events were cancelled due to extremely cold temperatures.

Non è stato un errore né una risposta emotiva. È stata una decisione lucida, costruita in settimane di tensione crescente, maturata sotto il peso di un conflitto già in corso tra Israele e Iran, e precipitata dopo l’ultimatum americano. Nella notte del 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iran, entrando formalmente in guerra. Hanno colpito i tre principali siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz e Isfahan – nel cuore della Repubblica islamica. Lo hanno fatto con bombardieri stealth B-2 e missili Tomahawk, in un’azione congiunta con Israele. Lo scopo, dichiarato da Trump in diretta televisiva: “fermare la bomba e portare la pace”.

Dall’altra parte, Teheran ha risposto con la parola più netta: guerra. Ha attivato la sua rete di alleati nella regione, ha lanciato missili contro Israele e ha avvertito: ogni cittadino americano nel Medio Oriente è ora un obiettivo.

Il contesto: una guerra già cominciata

L’operazione americana è il culmine di un’escalation iniziata il 13 giugno, quando Israele ha attaccato per primo i siti nucleari iraniani, temendo che Teheran fosse a un passo dal costruire un’arma atomica. L’Iran ha risposto con razzi, droni e missili, colpendo obiettivi civili e militari israeliani. Nei dieci giorni successivi, il bilancio è salito a centinaia di morti. E mentre le bombe cadevano, la diplomazia americana tentava una mediazione.

Trump ha dato all’Iran due settimane di tempo per fermare l’arricchimento dell’uranio e tornare a trattare. Ma da Teheran è arrivato un secco rifiuto. Il governo iraniano ha ribadito che il suo programma nucleare è civile e ha accusato Israele di terrorismo. Quando sono ripresi i lanci contro città israeliane, Washington ha rotto gli indugi.

Le motivazioni: bomba, deterrenza, geopolitica

La motivazione ufficiale è impedire che l’Iran costruisca un’arma nucleare. Trump ha dichiarato: “Non permetteremo allo Stato numero uno al mondo sponsor del terrorismo di ottenere l’arma più pericolosa del mondo”. Ma non si tratta solo di non proliferazione. L’attacco è anche un messaggio strategico.

Con Israele sotto assedio e una guerra in corso, Washington ha deciso di intervenire per non perdere credibilità agli occhi dei suoi alleati, soprattutto nel mondo arabo sunnita. C’è poi un calcolo interno: l’opinione pubblica americana è divisa, ma la leadership repubblicana esalta la decisione come segno di forza. E Trump, già in piena campagna per le elezioni del 2026, rafforza così il suo asse con Netanyahu e rilancia la dottrina del “peace through strength”.

Le modalità: un attacco da manuale

La notte dell’attacco, sei bombardieri B-2 hanno attraversato il Golfo, invisibili ai radar, e hanno sganciato bombe anti-bunker da 13 tonnellate sul sito più protetto: Fordow, scavato sotto una montagna. In contemporanea, missili da crociera sono partiti da navi americane per colpire Natanz e Isfahan. I tre siti nucleari più importanti dell’Iran.

La difesa aerea iraniana ha reagito tardi. L’operazione ha colpito le infrastrutture senza, secondo Teheran, provocare fuoriuscite radioattive. Ma ha messo fuori uso l’intera capacità di arricchimento dell’uranio. L’obiettivo tecnico era questo. L’obiettivo politico: costringere Teheran a scegliere tra la prosecuzione della guerra e la resa diplomatica.

Le reazioni: guerra o diplomazia?

L’Iran ha scelto la risposta armata. Ha dichiarato di essere in guerra con gli Stati Uniti e ha lanciato una salva di missili balistici contro Israele, colpendo anche Haifa. I Pasdaran hanno parlato apertamente di vendetta. Il ministro degli Esteri ha definito l’attacco americano “un’aggressione criminale”, promettendo che “avrà conseguenze eterne”.

Intanto, l’ONU ha convocato un vertice d’urgenza. Il segretario generale Guterres ha parlato di “pericolosa escalation”. Russia e Cina hanno condannato gli Stati Uniti, accusandoli di aver violato il diritto internazionale. L’Europa si è spaccata tra prudenza e appelli alla calma. E il mondo ha cominciato a interrogarsi su una possibilità fino a ieri impensabile: una guerra globale che parte dal Medio Oriente.

La domanda aperta

L’Iran non ha armi nucleari. Non ancora, almeno. Ma da oggi non ha nemmeno più le sue centrali di arricchimento. Gli Stati Uniti hanno ottenuto quello che volevano: un colpo decisivo al programma atomico di Teheran. Ma il prezzo potrebbe essere alto. L’Iran ha promesso rappresaglie contro le basi USA nella regione. I suoi alleati – da Hezbollah agli Houthi – potrebbero aprire nuovi fronti. Lo Stretto di Hormuz, da cui passa il 20% del petrolio mondiale, è a rischio chiusura. E nel mondo cresce la paura di una spirale fuori controllo.

Trump parla di “pace attraverso la forza”. Khamenei parla di “resistenza fino alla fine”. E il resto del mondo osserva, in bilico tra la paura della guerra e l’illusione che tutto si fermi qui. Ma chi ha colpito per primo – e chi ha risposto con la parola “guerra” – lo ha già deciso: non si torna indietro.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure