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Trump ha bombardato l’Iran per colpire Russia e Cina

Pubblicato: 22/06/2025 10:35

Dietro le bombe sganciate sugli impianti nucleari iraniani c’è molto più di una semplice rappresaglia o di un gesto di solidarietà con Israele. Nell’intervento deciso e spettacolare del presidente Trump si nasconde un segnale globale, rivolto non solo a Teheran ma ai suoi due principali alleati geopolitici: la Russia e la Cina. Il messaggio è chiaro, brutale e inequivocabile: l’Occidente è pronto a colpire, e lo farà quando e dove vuole.

L’attacco ha centrato tre siti nucleari iraniani – Fordow, Natanz e Isfahan – con bombardieri B-2 partiti da basi americane, mentre Israele gestiva in parallelo una massiccia operazione di interdizione missilistica. Subito dopo, l’Iran ha parlato di “stato di guerra” con gli Stati Uniti. Ma la risposta americana è arrivata nel nome della sicurezza globale e della lotta contro il terrorismo. È la versione ufficiale, certo. Ma quella reale è un’altra: l’Iran è oggi il braccio operativo della Russia in Medio Oriente e l’interlocutore privilegiato della Cina sul piano energetico e strategico.

Un colpo all’asse eurasiatico

Soffocare Teheran significa colpire il cuore delle ambizioni russe e cinesi nell’area. L’Iran fornisce droni a Mosca, supporta milizie filo-russe nel Caucaso e tiene in scacco i corridoi marittimi d’Oriente. Allo stesso tempo, è il partner che garantisce a Pechino petrolio sanzionato a prezzi di favore e accesso stabile alla fascia tra Golfo Persico e Mar Arabico. L’attacco americano, dunque, rompe questo equilibrio e forza gli alleati eurasiatici a esporsi.

Per Putin è un colpo durissimo. Isolato sul fronte ucraino, privo di una reale coalizione internazionale, perde ora anche la possibilità di usare l’Iran come leva di pressione sugli Stati Uniti e sugli equilibri del Medio Oriente. Per Xi Jinping è un avvertimento: le rotte strategiche che passano per il Golfo non sono più sicure, e l’ombra della guerra può investire anche le linee della Nuova Via della Seta.

Strategia globale, non solo regionale

Mentre l’Occidente appare sfibrato dalle divisioni interne, Trump si mostra come l’unico attore capace di azione immediata, unilaterale e punitiva. La scelta di bombardare non è solo militare. È culturale, ideologica e simbolica. Trump ha deciso di colpire il nemico numero uno della propaganda americana non tanto per distruggere un programma nucleare – che ormai è già avanzato – ma per imporre un cambio di passo nel confronto globale con le autocrazie.

È una sfida lanciata su più livelli: al Cremlino, a Pechino, ma anche all’Europa, che resta spettatrice passiva e divisa.

Il segnale a Mosca, Pechino e Bruxelles

L’attacco all’Iran, insomma, non è la fine di un conflitto ma l’inizio di una nuova stagione di confronto tra blocchi. L’asse Israele-USA vuole riscrivere la mappa del Medio Oriente e rimettere in discussione i patti silenziosi tra Mosca, Pechino e Teheran. È una mossa ad alto rischio, perché nessuno può prevedere la reazione dell’Iran, e la regione resta una polveriera.

Ma per Trump, oggi, questa è anche una mossa interna. Serve a rafforzare la sua immagine di presidente forte, in vista delle elezioni presidenziali. A differenza di Biden, che cercava equilibrio e compromesso, Trump vuole imprimere un’accelerazione ai processi storici in atto, anche a costo di provocare nuove guerre. E in questo senso, il bombardamento dell’Iran è solo l’inizio.

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Ultimo Aggiornamento: 22/06/2025 10:36

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