
Si è spento nella sua casa di Milano, con la discrezione che da sempre ha accompagnato la sua figura. Arnaldo Pomodoro, uno dei più grandi scultori italiani contemporanei, è morto ieri sera, alla vigilia del suo novantanovesimo compleanno. Era nato il 23 giugno del 1926 a Montebello di Romagna e da oltre mezzo secolo era diventato simbolo di un’arte capace di tenere insieme forma classica e inquietudine del presente. La notizia è stata data dalla Fondazione Pomodoro, oggi diretta da Carlotta Montebello, che ne custodisce l’eredità.
Le sfere, la materia, il tempo
Pomodoro è stato l’autore di alcune delle opere più riconoscibili dell’arte mondiale del secondo Novecento: le sue sfere di bronzo, incise e ferite da ingranaggi e cavità, popolano piazze e musei in tutto il mondo. Dalla Sfera grande davanti alla Farnesina a Roma, alla Sfera dentro la sfera installata nel Cortile della Pigna in Vaticano, fino a quelle visibili alla sede dell’ONU a New York, a Washington, a Dublino. Ogni sua opera sembrava interrogare il tempo, la perfezione classica della forma geometrica e la sua rottura interna, come se Pomodoro scolpisse l’ansia dell’era atomica nella pietra e nel metallo.

Una voce visionaria dell’arte italiana
“Con la scomparsa di Arnaldo Pomodoro il mondo dell’arte perde una delle sue voci più autorevoli, lucide e visionarie”, ha scritto la direttrice della Fondazione. E in effetti l’opera di Pomodoro, pur fortemente radicata nella materia — bronzo, marmo, legno, cemento — ha sempre teso a un pensiero più ampio: quello che attraversa il linguaggio dei segni, la memoria dei miti antichi, l’ossessione per il futuro. Dagli anni Cinquanta — quando si trasferì a Milano con il fratello Gio’ e si legò alla cerchia di Fontana e Baj — fino agli anni Duemila, Pomodoro ha attraversato in prima persona la storia della scultura astratta, influenzando generazioni di artisti.
Teatro, architettura e utopia
Non solo scultura: Pomodoro ha lavorato anche alla scenografia teatrale, collaborando con registi come Luca Ronconi e Bob Wilson. Ha progettato spazi urbani, come la celebre Tavola della memoria di Gibellina, creata sulle rovine del terremoto. Era convinto che l’arte dovesse essere monumentale, ma non nel senso celebrativo: monumentale come gesto collettivo, come interrogazione dello spazio pubblico.

Un’eredità incisa nel tempo
Nel 1995 creò la sua Fondazione, con lo scopo di tutelare non solo le sue opere ma anche la funzione sociale dell’arte. Il suo studio-laboratorio di via Vigevano, a Milano, è oggi uno dei luoghi simbolici della scultura contemporanea, mentre la mostra permanente allestita a Cattolica, nella Galleria della Regina, continua a raccontarne la visione.
Pomodoro non ha mai smesso di progettare, plasmare, disegnare. Fino all’ultimo, ha incarnato l’idea dell’artista come artigiano del pensiero. Le sue sfere continueranno a girare nelle piazze del mondo, con quella ferita incisa al centro, come un mistero aperto, come una domanda che ancora non ha finito di risuonare.