
“Ucciderò per lei, signore.” Con questa frase, più volte ripetuta da Donald Trump nei suoi comizi, l’ex presidente degli Stati Uniti ha introdotto al pubblico il generale Dan Caine, la figura da lui designata per sostituire Charles Q. Brown jr come capo di Stato maggiore congiunto. Una nomina che sta sollevando un’ondata di polemiche politiche e istituzionali, sia per la scelta in sé che per le modalità con cui è stata effettuata.
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Caine, richiamato in servizio attivo dalla pensione per volere diretto del tycoon, rappresenta un nome fortemente politicizzato in un ruolo che, per tradizione e legge, dovrebbe rimanere al riparo dalle dinamiche partitiche. La sua figura è infatti diventata emblema della strategia di Trump di circondarsi esclusivamente di fedelissimi, anche a costo di forzare le regole di idoneità previste per ruoli militari di vertice.
Nomina tra le critiche: Caine non aveva i requisiti richiesti
La legge statunitense richiede ai candidati alla guida dello Stato maggiore congiunto di aver ricoperto almeno uno tra tre ruoli chiave: vicepresidente dello Stato maggiore, comandante di una delle forze armate, oppure a capo di un comando combattente. Dan Caine, 57 anni, non ha mai ricoperto nessuno di questi incarichi. Eppure, Trump ha deciso di sorvolare sui requisiti, pur di garantirsi la presenza di un uomo di sua totale fiducia al vertice della macchina militare.
Un gesto che segna una rottura con la prassi istituzionale e che accende i riflettori su una strategia di accentramento politico delle leve del potere. A motivare la rimozione di Charles Q. Brown jr, secondo quanto trapelato dalla Casa Bianca, sarebbero infatti le sue posizioni ritenute troppo progressiste, in particolare su tematiche legate al mondo woke e ai rapporti interni alle forze armate.

“Razing Cane”: il profilo di un generale fuori dagli schemi
Conosciuto nel mondo militare con il soprannome “Razing Cane” – un gioco di parole che richiama l’espressione idiomatica “raising Cain”, ovvero “fare danni” o “scatenare il caos” – Caine è celebre per uno stile aggressivo e diretto, affinato durante i suoi anni alla guida di jet F16 nell’aeronautica americana.
Originario del Virginia Military Institute, è figlio d’arte e ha seguito le orme del padre nell’Air Force. È stato uno dei piloti attivi l’11 settembre 2001, incaricato di sorvegliare i cieli di Washington dopo gli attacchi terroristici. Ha trascorso parte della sua carriera nella Guardia Nazionale, dal 2009 al 2016, totalizzando circa 2.800 ore di volo su velivoli militari. Tra il 2016 e il 2021 ha prestato servizio in Iraq, dove, secondo la versione di Trump, sarebbe avvenuto il primo incontro tra i due.
Proprio da quell’incontro, Trump ha costruito la narrazione di una lealtà assoluta, culminata nella frase ormai celebre: “Ucciderò per lei, signore”. Parole che, secondo quanto riportato da Npr, sono state smentite pubblicamente dallo stesso Caine. Ma la smentita non ha fermato l’ex presidente dal continuare a raccontare l’aneddoto in diverse occasioni, utilizzandolo come prova della determinazione e dello spirito combattivo del generale.

Un militare apolitico ma vicino a Trump
Pur non essendosi mai schierato ufficialmente con il Partito Repubblicano, Dan Caine è ormai riconosciuto come un alleato strategico di Trump. Il legame tra i due si è consolidato almeno dal 2019, quando l’ex presidente ha iniziato a citarlo pubblicamente come un esempio di “generale vero, non da televisione”. Un chiaro riferimento polemico a quegli ufficiali che, secondo Trump, avrebbero preferito la ribalta mediatica all’efficacia sul campo.
La scelta di affidargli un ruolo di tale rilievo, nonostante l’assenza di requisiti legali, riflette la volontà di Trump di riplasmare le istituzioni militari secondo la propria visione politica. Una strategia che non solo alimenta la polarizzazione interna, ma pone interrogativi profondi sulla tenuta democratica delle strutture di comando.
Le reazioni: tra preoccupazione e allarme istituzionale
La decisione ha sollevato forti critiche, non solo da parte dell’opposizione democratica ma anche all’interno di settori dell’esercito e del mondo repubblicano più tradizionalista. Il timore è che si stia creando un precedente pericoloso, in cui i criteri di competenza vengano sacrificati sull’altare della fedeltà personale.
Per molti osservatori, la vicenda segna un ulteriore passo verso una militarizzazione della politica in senso verticale, dove i rapporti personali e l’allineamento ideologico rischiano di sostituire il merito e l’esperienza operativa. In un contesto già segnato da forti tensioni interne, la nomina di Caine rischia di acuire la spaccatura istituzionale tra Casa Bianca e vertici militari.