
Il 22 giugno rischia di diventare una data spartiacque non soltanto per il Medio Oriente, ma per l’intero equilibrio euro-atlantico. Mentre gli occhi del mondo erano puntati sugli attacchi americani contro i siti nucleari iraniani di Natanz, Esfahan e Fordow, un altro fronte si apriva in silenzio, ma con effetti potenzialmente devastanti per l’Europa. Perché l’asse che si sta rafforzando tra Teheran e Mosca, al di là delle dichiarazioni ufficiali, segna una svolta geopolitica che lascia il nostro continente più esposto che mai, qualunque direzione prenda la guerra.
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La mossa iraniana a Mosca è un segnale all’Occidente
L’arrivo a Mosca del ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, non è un dettaglio diplomatico. È un messaggio. Dopo essere stato colpito nel cuore del suo programma nucleare, l’Iran ha scelto di rivolgersi non a un alleato regionale, ma a Vladimir Putin. Un gesto che ha poco a che fare con la solidarietà simbolica, e molto con un tentativo di ridefinire gli equilibri globali proprio nel momento in cui gli Stati Uniti spostano la loro attenzione e i loro asset militari sul teatro mediorientale.
Dietro l’incontro ufficiale con Putin si cela una richiesta implicita ma chiara: protezione strategica. E Mosca, consapevole del peso che può ora esercitare, potrebbe scegliere tra due opzioni. Offrire sostegno all’Iran, trasformando la crisi in un nuovo fronte contro l’Occidente, oppure restare defilata in Medio Oriente per colpire più duramente in Ucraina. In entrambi i casi, a perdere sarà l’Europa.

Due scenari, un solo perdente: l’Europa
Se la Russia decidesse di rafforzare l’alleanza con l’Iran, anche solo sul piano delle forniture e dell’intelligence, gli Stati Uniti sarebbero costretti a rivedere la loro postura militare, riducendo l’impegno in Europa. Ma se, come molti analisti temono, il Cremlino sceglierà invece di sfruttare il vuoto momentaneo lasciato da Washington per intensificare l’offensiva in Ucraina, allora a pagare il prezzo sarà direttamente Kiev e con essa l’intero scacchiere europeo.
In entrambi i casi, l’Europa è stretta in una morsa: o abbandonata dal suo alleato principale sul fronte ucraino, o trascinata in una nuova guerra per procura in Medio Oriente. La fragilità strategica dell’UE emerge in tutta la sua drammaticità. Senza una difesa autonoma, senza una politica estera coesa, il Vecchio Continente è esposto agli eventi più di quanto voglia ammettere.

Il disimpegno americano è una ferita aperta
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha già prodotto una conseguenza concreta: la priorità assoluta è la sicurezza di Israele. L’Ucraina, pur formalmente ancora alleata, rischia di essere declassata a questione secondaria. L’eventuale ritiro anche solo parziale dell’appoggio americano si tradurrebbe in un terremoto per le cancellerie europee, già messe in crisi da mesi di incertezze e divisioni interne.
La Russia ha capito che è il momento giusto per forzare la mano. E se è vero che il Cremlino non ha bisogno di inviare truppe a Teheran per minacciare l’Occidente, è altrettanto vero che il caos scatenato in Medio Oriente amplifica la capacità di Mosca di muoversi con libertà sul fronte ucraino, approfittando di un’Europa distratta, divisa e — soprattutto — impreparata.
Il sogno di Putin: un’Europa isolata
In questo quadro, la posizione europea appare come la più vulnerabile. Né in grado di incidere nel nuovo equilibrio tra Iran, Russia e Stati Uniti, né pronta ad assumersi la responsabilità militare e diplomatica della crisi ucraina. L’Europa osserva, commenta, lancia appelli, ma resta priva di una propria strategia di sopravvivenza. E questo, per Putin, è lo scenario perfetto: un’Unione Europea debole, incapace di iniziativa, dipendente da Washington e sempre più percorsa da fratture interne.
Che Mosca decida o meno di intervenire direttamente nel dossier iraniano, la vera vittoria del Cremlino potrebbe essere proprio questa: logorare lentamente la capacità decisionale europea, spezzare il fronte atlantico, e spingere alcuni governi ad assumere posizioni più ambigue nei confronti della Russia.
Una partita a scacchi giocata sulla pelle dell’Europa
L’attacco americano ai siti iraniani è solo l’ultima mossa visibile di una partita più ampia. Una partita nella quale ogni alleanza, ogni visita diplomatica, ogni dichiarazione è funzionale a ridisegnare l’ordine mondiale. E in cui l’Europa, se non saprà rispondere con una propria visione e forza autonoma, rischia di diventare la pedina sacrificabile.
Il 22 giugno non segna solo una svolta in Medio Oriente. Potrebbe essere ricordato, nei prossimi mesi, come il giorno in cui l’Europa ha smesso di contare davvero. E in cui la guerra in Ucraina, lungi dall’avviarsi alla fine, ha imboccato un sentiero ancora più oscuro.