
Christine Lagarde prende tempo. Di fronte agli europarlamentari della Commissione Economia, la presidente della Banca centrale europea ha chiarito che, nel contesto attuale, l’Eurotower non intende vincolarsi a un piano prestabilito per il taglio dei tassi di interesse. Una frenata che pesa sulle aspettative dei mercati e riporta l’incertezza al centro del dibattito.
“Soprattutto nelle attuali condizioni di eccezionale incertezza”, ha dichiarato Lagarde, “adotteremo un approccio basato sui dati e sulle singole riunioni”. Una linea prudente, che tiene conto di variabili ancora in movimento: “Le nostre decisioni”, ha aggiunto, “si baseranno sulle prospettive di inflazione, sulla dinamica dell’inflazione di fondo e sulla forza della trasmissione della politica monetaria”.
Nessun impegno anticipato
In altre parole, la BCE non si impegna a tagliare ancora, me nemmeno lo esclude. Dopo la prima sforbiciata di giugno, che ha segnato l’avvio del ciclo di allentamento, i mercati scommettevano su un secondo intervento già a luglio o settembre. Le parole di Lagarde raffreddano queste aspettative. “Non ci impegniamo in anticipo su un percorso specifico per i tassi”, ha ribadito, lasciando aperta la possibilità di una pausa o di un rallentamento.
Il messaggio ai mercati è chiaro: la BCE resta vigile, ma non correrà rischi. Il contesto globale, tra tensioni geopolitiche, prezzo dell’energia e instabilità politica in vari Paesi, impone cautela. Anche perché, come ha più volte sottolineato Francoforte, un allentamento prematuro potrebbe compromettere i progressi finora fatti nel contenere l’inflazione.
Il nodo dell’inflazione di fondo
Se il dato headline dell’inflazione è ormai in calo da mesi, resta elevato il tasso dell’inflazione di fondo, cioè quella depurata da energia e alimentari. È su questo punto che Lagarde insiste: la BCE vuole capire se la dinamica dei prezzi è davvero sotto controllo anche nei comparti più rigidi, come i servizi, dove la componente salariale ha un peso rilevante.
In altri termini, la BCE teme un effetto di secondo impatto: salari che rincorrono l’inflazione passata, alimentando una nuova ondata di rincari. Ecco perché la banca centrale non può permettersi di “promettere” nuovi tagli, senza aver prima verificato che la discesa dei prezzi sia solida e duratura.

La differenza con la Fed
L’approccio di Lagarde segna un contrasto con la Federal Reserve, che negli Stati Uniti mantiene una linea più attendista, anche a fronte di dati economici solidi ma non eclatanti. Se Washington è ossessionata dalla tenuta del mercato del lavoro, a Francoforte preoccupa piuttosto la debolezza dell’economia europea. Eppure, paradossalmente, è la Fed ad apparire più flessibile, mentre la BCE mantiene un atteggiamento ancora rigido, quasi difensivo.
Una divergenza che si riflette sul cambio euro-dollaro e sui rendimenti obbligazionari, con spread che restano sotto controllo anche grazie alle aspettative (ancora vive) di un ciclo di tagli futuri. Ma il margine di manovra resta ristretto: da un lato, l’inflazione non è domata; dall’altro, la crescita è fiacca e il credito resta caro per famiglie e imprese.
Una normalizzazione lunga e fragile
La verità è che la BCE è entrata in una fase di navigazione a vista, dove ogni riunione potrebbe cambiare rotta. La “forward guidance” – cioè l’indicazione anticipata delle prossime mosse – è stata sospesa proprio perché oggi ogni previsione rischia di essere smentita. Un ritorno a una politica monetaria veramente “normale” appare lontano: troppo elevati i tassi reali per stimolare gli investimenti, troppo deboli i segnali di una ripresa autonoma.
Il nodo, ancora una volta, resta politico: senza una vera politica fiscale europea che accompagni la fase post-inflattiva, la BCE sarà costretta a farsi carico anche di ciò che non le compete. E i mercati dovranno imparare a convivere con un’epoca in cui non esistono più automatismi, né sul fronte della crescita né su quello del denaro.