
Cosa succede se l’oro non è più al sicuro nemmeno dentro i caveau della Federal Reserve americana? Germania e Italia, insospettite dai venti politici d’oltreoceano, stanno valutando la possibilità di riportare in patria parte delle loro riserve auree, oggi conservate a New York. Una decisione che avrebbe implicazioni non solo economiche, ma anche diplomatiche, vista la nuova e turbolenta fase nei rapporti transatlantici.
Berlino e Roma pronte al prelievo: in ballo 245 miliardi
A lanciare l’indiscrezione è stato il Financial Times: Germania e Italia starebbero studiando il rimpatrio di lingotti per un valore complessivo di 245 miliardi di dollari, attualmente custoditi dalla Federal Reserve di New York. A preoccupare le due capitali europee è l’irrigidimento dei rapporti tra il presidente Donald Trump e Jerome Powell, numero uno della banca centrale americana.
In caso di nuova escalation, non viene esclusa la possibilità che il tycoon metta mano ai meccanismi che regolano l’accesso alle riserve estere, magari per esercitare pressioni politiche o economiche. Non si tratta solo di un’ipotesi fantasiosa. L’oro è una leva potente, e Berlino lo sa bene.
La Germania detiene oggi 3.352 tonnellate di riserve (seconda solo agli Usa), Roma ne custodisce 2.452. Ma il 37% dell’oro tedesco e ben il 43% di quello italiano sono ancora fisicamente a New York, eredità del sistema di Bretton Woods che, dal 1944 al 1971, ancorava le valute al dollaro e il dollaro all’oro.

Lo spettro di Trump e il rischio “rubinetto chiuso”
Nessun allarme ufficiale, ma i timori sono palpabili. Trump, non nuovo a sparate contro la Fed, ha minacciato di “forzare qualcosa” se l’istituto centrale non abbasserà i tassi. Un’affermazione che ha riacceso le paure: se il controllo della Fed diventasse troppo politicizzato, l’accesso all’oro straniero potrebbe finire sotto condizionamento diretto della Casa Bianca.
E qui entra in scena la prudenza tedesca. Già nel 2013 la Bundesbank aveva trasferito 674 tonnellate da Parigi e New York a Francoforte, per “diversificare” la localizzazione. Parigi aveva fatto lo stesso decenni prima, prelevando tutti i propri lingotti dagli Stati Uniti quando Charles De Gaulle, nel 1965, intuì il possibile crollo dell’ordine monetario occidentale.
E l’Italia? Meloni frena: “In mani amiche”
La posizione di Giorgia Meloni è però molto più ambigua. In passato, prima delle elezioni, aveva invocato il rimpatrio dell’oro come tema sovranista. Oggi, invece, il suo partito appare più cauto. “La posizione geografica dell’oro ha solo un’importanza relativa”, ha spiegato Fabio Rampelli (FdI), sottolineando come le riserve siano “in custodia di uno storico alleato”.
Eppure, gli ambienti bancari italiani non escludono scenari diversi, anche per una questione di principio: in caso di crisi sistemica, conta il controllo fisico, non solo formale. Se l’accesso ai lingotti venisse congelato, neanche la miglior alleanza atlantica potrebbe sciogliere l’impasse.
Il triangolo dorato è sempre più fragile
La situazione apre un fronte delicato nei rapporti fra Stati Uniti, Germania e Italia: il cosiddetto triangolo dorato, che oggi vacilla tra esigenze di sicurezza economica e nuovi equilibri politici. Il ritorno dell’oro in Europa segnerebbe non solo una mossa tecnica, ma anche una presa di distanza silenziosa ma eloquente da Washington. E chissà che, a questo punto, qualcuno non si metta a contare i lingotti. Uno per uno.