
Non basta più il 2% del Pil promesso per anni e mai davvero rispettato: ora la Nato alza l’asticella e pretende di portare la spesa militare al 5%, come ribadito dal nuovo segretario generale Mark Rutte alla vigilia del vertice all’Aja. Un obiettivo definito “storico” per difendere l’Occidente, ma che rischia di dissanguare i bilanci di Paesi già in apnea su sanità, scuola e investimenti sociali.
L’Italia sotto torchio: oltre 100 miliardi per armi e basi
Per dare un’idea, se l’Italia dovesse davvero mettere il 5% del suo Pil (che vale circa 2.000 miliardi) in difesa e sicurezza, la spesa annuale salirebbe a 100 miliardi di euro: una cifra colossale, pari a quasi tre volte il bilancio del Ministero dell’Istruzione o a quanto lo Stato spende per pensioni di invalidità e disabilità. Un costo spalmato sulle tasche dei contribuenti, con la retorica della “sicurezza” a giustificare qualsiasi taglio.
Non basta. Ora parte la polemica per l’esenzione di cui godrebbe la Spagna. Il premier spagnolo Pedro Sanchez prova a dribblare la nuova stangata parlando di “percorso sovrano”, ma Rutte taglia corto: “Nessuna deroga, nessun accordo a latere”. L’obiettivo resta: 3,5% per la difesa tradizionale e un altro 1,5% per sicurezza e infrastrutture, fino a toccare quel famigerato 5% che, secondo Rutte, “assicura il nostro futuro”.
Nell’accordo blindato a parole dal nuovo segretario generale Mark Rutte, c’è un piccolo giallo che in realtà di misterioso ha ben poco: la Spagna, di fatto, si è ritagliata un’esenzione dal famigerato 5% di spesa militare che la Nato pretende da tutti i membri.
Esenzione mascherata: Madrid tira dritto col 2%
Nonostante le frasi di circostanza di Rutte, “nessuna deroga”, la sostanza non cambia: Madrid continuerà a destinare appena il 2,1% del Pil a difesa e infrastrutture militari. Il resto è un atto di fede: la Spagna giura che con quella cifra riuscirà a raggiungere tutti i “target di capacità” richiesti dall’Alleanza Atlantica. La Nato controllerà la veridicità della promessa solo nel 2029, quando scatterà la revisione.

Una “deroga che non è una deroga”, direbbe qualche burocrate a Bruxelles, ma che i partner, Italia inclusa, digeriscono a fatica. Rutte infatti non poteva permettersi di dirlo apertamente: troppe capitali, da Roma a Berlino, stanno spremendo i conti pubblici per raddoppiare la spesa in armamenti e missili, mentre Madrid incassa una flessibilità che scuote l’Alleanza.
Finché c’è tempo, la Spagna continuerà a giocare sul filo: pagare la metà, ma sedere al tavolo dei grandi. E se nel 2029 qualcuno proverà a chiedere conto, sarà la politica a decidere chi dovrà tirare fuori altri miliardi. Per ora la lezione è chiara: chi sa trattare bene a Bruxelles (e a Washington) ottiene sconti. Gli altri si limitano a tagliare scuole e ospedali pur di far contenta la Nato.
Il Welfare europeo a rischio
Peccato che il futuro di milioni di europei venga messo a rischio: meno scuole, meno sanità, più missili e basi militari. Un regalo alle industrie belliche e un conto salato per famiglie e lavoratori, in un continente che avrebbe ben altro da finanziare. Ma che si trova schiacciato fra le esigenze del Welfare e le nuove, crescenti tensioni internazionali.
Il cambio di strategia di Trump, non più disposto a confermare il ruolo degli Stati Uniti come “finanziatori” della Nato, non permette vie d’uscita: l’Europa dovrà auto finanziare le proprie difese. E qui casca l’asino, perché la mancanza di un esercito comune e di politiche fiscali condivise sono comunque due ostacoli altissimi, anche se davvero si riuscisse a destinare il 5% del Pil alla difesa.