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“Stanotte può cambiare tutto”: l’Iran colpisce basi Usa, così cresce il rischio di un conflitto globale

Pubblicato: 23/06/2025 19:19
guerra iran usa

Attacchi contro le postazioni americane in Qatar, Iraq e Siria. Allerta massima nelle basi Nato, silenzio preoccupato da Mosca e Pechino. L’Europa è spettatrice inerme di una crisi che potrebbe travolgerla

Il giorno in cui il mondo ha smesso di respirare non è cominciato con un attacco, ma con una sequenza. Una progressione quasi matematica di eventi che, messi uno accanto all’altro, costruiscono il preludio di qualcosa che non può più essere considerato semplice tensione regionale.

Alle 18 italiane, un primo segnale: missili iraniani diretti contro la base Usa di al Udeid in Qatar, una delle più strategiche per la presenza americana in Medio Oriente. Quasi in contemporanea, colpi di mortaio su una base statunitense in Siria, e subito dopo la conferma dell’attivazione dei sistemi di difesa nella base di Ain al-Asad in Iraq. Poco dopo, i media riferiscono che il segnale GPS è stato oscurato nel Golfo. Infine, il Wall Street Journal rivela che l’Iran ha posizionato lanciamissili pronti a nuovi attacchi.

Tutto questo non accade in un vuoto diplomatico. Accade mentre Donald Trump riunisce il consiglio di sicurezza nello Studio Ovale. Accade dopo che gli Stati Uniti hanno colpito i siti nucleari iraniani con una precisione chirurgica che, per Teheran, non poteva restare senza risposta. E accade mentre la Russia osserva in silenzio e la Cina chiede “moderazione”, ma in entrambi i casi si prepara — se necessario — a sfruttare lo spazio che l’Occidente potrebbe lasciare scoperto.

Non è una rappresaglia. È un nuovo scenario operativo

La novità, questa volta, non è che l’Iran reagisca, ma come lo fa. Non si tratta di un singolo attacco dimostrativo. Siamo davanti a una manovra militare multilivello: missili, mortai, guerra elettronica. Con un messaggio chiaro: nessuna base americana nella regione è al sicuro. Al tempo stesso, Teheran mantiene un linguaggio pubblico di “autodifesa” e di protezione dell’integrità nazionale. Ma è evidente che le parole servono solo a guadagnare tempo. Le decisioni sono già state prese.

Nessuno, neppure la guida suprema, può più controllare il ritmo della crisi. Quando un Paese decide di colpire simultaneamente in tre stati diversi, sa che sta entrando in una zona grigia tra guerra convenzionale e escalation incontrollabile. La risposta americana, a questo punto, è scontata. Resta da capire quale sarà la sua entità.

Il ruolo delle superpotenze: chi muove davvero i fili?

Il vero rischio, però, è che questa non sia una guerra tra Iran e Stati Uniti, ma l’inizio di una guerra fatta di guerre, una matrioska geopolitica in cui ogni scontro ne apre un altro. La Russia ha interesse a prolungare la crisi: ogni missile lanciato nel Golfo costringe Washington a guardare meno verso Kiev. La Cina ha interesse a gestire la diplomazia: può proporsi come mediatrice, indebolendo l’influenza americana tra i paesi arabi e ottenendo concessioni economiche future.

Ma se gli Stati Uniti decideranno di colpire con forza, se Trump — oggi più aggressivo che mai — userà la crisi per rafforzare la propria posizione internazionale, allora il conflitto diventerà impossibile da contenere. E se ciò accadesse, le potenze mondiali saranno costrette a uscire dal silenzio e scegliere campo.

L’Europa, ancora una volta, del tutto impreparata

In tutto questo, l’Europa è immobile. L’Italia ha soldati in Iraq e nella regione, le basi Nato sono in stato di allerta, le ambasciate vengono monitorate, i porti e gli aeroporti segnati in rosso, ma nessuna voce politica europea è in grado di incidere sugli eventi. Non esiste una linea comune. Non esiste una forza deterrente. E soprattutto, non esiste un piano.

Lo scenario peggiore? Che l’Europa venga trascinata in un conflitto che non ha voluto, senza avere strumenti per gestirlo né per evitarlo. In gioco ci sono le forniture energetiche, la stabilità interna, la sicurezza delle grandi città, il rischio di un nuovo terrorismo in reazione alla guerra. E tutto questo avviene in un momento storico in cui le democrazie occidentali appaiono più fragili che mai, logorate dalla polarizzazione e incapaci di pensare in termini strategici.

Il mondo davanti a una scelta irreversibile

Stanotte può succedere tutto. Oppure niente. Ma il punto è che non siamo più padroni di questa scelta. L’equilibrio globale è entrato in una fase nuova, pericolosa, non reversibile nel breve periodo. Anche se gli attacchi si fermassero qui, il segnale è lanciato: il Medio Oriente è di nuovo il teatro centrale della competizione mondiale, e il sistema multilaterale che aveva garantito settant’anni di gestione delle crisi non funziona più.

La domanda che resta è la più inquietante: cosa succede se stanotte non si ferma nulla? E siamo davvero pronti ad affrontarlo?

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