
Axios rivela che l’amministrazione Trump era stata informata in anticipo dell’imminente attacco iraniano contro basi statunitensi nel Golfo. Una notizia che non ridimensiona la gravità dell’escalation in corso, ma che ne svela la logica più profonda: quella della deterrenza controllata, non della guerra totale. E che al tempo stesso apre interrogativi su quale gioco stia giocando Teheran.
Una mossa calcolata
Secondo quanto riportato da Axios, fonti americane avrebbero ricevuto avvisi preventivi prima che l’Iran lanciasse i suoi missili balistici verso obiettivi militari Usa in Qatar e Iraq. La scelta di colpire senza infliggere (almeno per ora) vittime, unita al fatto che Washington fosse già in stato d’allerta, rafforza l’ipotesi di una risposta simbolica, destinata a inviare un messaggio più che a scatenare un conflitto diretto.
Non è la prima volta che Teheran adotta questa strategia. Già nel 2020, dopo l’uccisione di Qassem Soleimani, l’Iran colpì con missili la base di al-Asad in Iraq, dando il tempo ai soldati americani di ripararsi. Anche allora l’obiettivo era salvare la faccia interna ed evitare una guerra con gli Stati Uniti. Oggi la dinamica si ripete, ma in un contesto più pericoloso.

Perché l’Iran ha avvisato
Le motivazioni possibili sono almeno tre. La prima è politica interna: mostrare di aver reagito con forza agli attacchi americani contro i siti nucleari di Natanz, Fordow ed Esfahan, senza provocare una rappresaglia devastante. La seconda è geopolitica: inviare un segnale chiaro a Washington e agli alleati del Golfo, ma anche a Israele, senza dare il pretesto per un’escalation diretta. La terza è diplomatica: cercare di evitare la piena rottura con Russia e Cina, che in queste ore chiedono moderazione e temono il caos regionale.
L’Iran si muove dunque lungo un crinale pericoloso: dimostrare forza, senza perdere il controllo. Il preavviso dato agli Stati Uniti dimostra che, almeno per ora, non è interessato a una guerra frontale. Ma rivela anche un’alta consapevolezza strategica: Teheran vuole restare protagonista, evitare di apparire passiva, ma calibrando ogni passo per non restare isolata.
Il messaggio a Trump
Tutto ciò accade mentre Donald Trump, appena rieletto, rilancia una linea di confronto duro, fino a evocare un possibile “cambio di regime” a Teheran. Il fatto che la sua amministrazione sia stata avvertita in anticipo degli attacchi rafforza l’idea che non si voglia, per ora, oltrepassare una certa soglia.

Ma proprio questo può trasformarsi in un paradosso: se nessuna delle due parti intende davvero scatenare la guerra, ma entrambe continuano a sfidarsi, allora lo scontro accidentale resta lo scenario più concreto. Una base colpita per errore, un drone abbattuto, un incidente navale nello Stretto di Hormuz, e tutto può precipitare.
Una pace armata sul filo
La situazione attuale è quella di una pace armata instabile, dove ogni mossa è studiata per mostrare i muscoli senza innescare l’apocalisse. L’avvertimento dato agli Usa rientra in questa logica: serve a evitare vittime, ma anche a mostrare che l’Iran può colpire quando vuole. Un equilibrio precario che però, con il riarmo in corso e le alleanze che si ridisegnano, non potrà durare a lungo.
L’Europa, per ora assente, dovrebbe cogliere questa finestra per rilanciare un’iniziativa diplomatica autonoma. Ma senza una forza credibile, anche i migliori tentativi di mediazione rischiano di essere ignorati. Perché, come mostra proprio il caso iraniano, la diplomazia funziona solo se è sostenuta dalla deterrenza.