
Una voce metallica, precisa, che chiama da lontano ma sembra vicinissima. “Siamo più vicini a lei della vena che ha sul collo. Se lo metta in testa. Che Dio la protegga.” È uno dei passaggi più inquietanti dell’audio in farsi diffuso dal Washington Post, che documenta una telefonata minatoria fatta da un presunto agente del Mossad a un generale iraniano a Teheran, nelle prime ore dell’attacco israeliano contro l’Iran del 13 giugno. L’audio rappresenta un documento eccezionale, che mette in luce con rara chiarezza il livello di penetrazione dell’intelligence israeliana nei gangli del potere militare della Repubblica islamica.
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Una campagna parallela: gli omicidi mirati
Nel messaggio, che precede l’attacco, l’agente israeliano si rivolge direttamente al generale iraniano: “Che la pace sia con lei, generale. Sono uno di quelli che hanno mandato all’inferno i suoi colleghi. La chiamo per avvisarla, per darle una possibilità: vada via, si dissoci. Altrimenti lei sarà uno dei nostri prossimi target. Uccideremo lei con sua moglie e suo figlio. Mi ha capito bene?”. Un’intimidazione diretta, che non lascia margini di ambiguità.
Secondo quanto riferito dal quotidiano statunitense, la telefonata fa parte di una campagna parallela del Mossad rispetto all’attacco militare tradizionale: una serie di operazioni di eliminazione mirata ai vertici delle forze armate e della sicurezza iraniana. Secondo le fonti del Washington Post, tre persone direttamente coinvolte nell’operazione, almeno una trentina di alti ufficiali e scienziati sono stati uccisi in operazioni clandestine. Si tratta, quindi, di una strategia a più livelli, che ha agito sia nel campo del sabotaggio militare sia nel cuore del potere decisionale iraniano.

Il ricatto e la dissociazione richiesta
Durante la telefonata, l’agente del Mossad va oltre la minaccia e formula una richiesta: il generale dovrà inviare un video in cui si dissocia dal governo iraniano. Quando il generale chiede come trasmettere la registrazione, l’agente risponde con un’istruzione precisa: “Le invio un ID di Telegram: lo mandi lì”. Non è chiaro se il video sia mai stato realizzato né se sia mai arrivato a destinazione. Tuttavia, secondo quanto riportato dal Post, il generale sarebbe ancora vivo, dettaglio che fa pensare che possa aver accettato – o almeno non rifiutato esplicitamente – la proposta degli agenti israeliani.
Un’operazione studiata nei dettagli
L’episodio descritto conferma, secondo l’articolo, la straordinaria capacità del Mossad di agire con precisione chirurgica all’interno del territorio iraniano. Non solo attraverso l’azione militare diretta, ma anche attraverso operazioni psicologiche e comunicative pensate per intimidire, isolare e annientare i vertici del regime.
L’attacco del 13 giugno, secondo varie fonti, avrebbe causato un numero di vittime civili che varia tra le circa 500 dichiarate dal ministero della Sanità iraniano e le oltre 1000 riportate da alcune ong attive nella regione. Tuttavia, l’azione descritta dal Washington Post si colloca su un altro piano, parallelo e segreto, che mira a colpire selettivamente figure chiave dell’apparato militare-scientifico iraniano.
Amazing recording. pic.twitter.com/1j80iFcNOr
— Jason Brodsky (@JasonMBrodsky) June 23, 2025
Il ruolo della stampa americana
L’origine della registrazione, non ufficialmente confermata, potrebbe risalire direttamente a fonti interne al governo israeliano. L’articolo suggerisce infatti che in più occasioni, nei mesi scorsi, informazioni riservate siano state fatte filtrare dalla sicurezza israeliana alla stampa americana per rafforzare l’immagine di superiorità dell’intelligence di Tel Aviv rispetto ai suoi avversari. In questo contesto, la diffusione controllata della telefonata potrebbe far parte di una più ampia strategia comunicativa volta a rafforzare la deterrenza e a seminare il panico tra i quadri dirigenti iraniani.
Il governo israeliano, attraverso l’ufficio del primo ministro, ha scelto di non commentare l’articolo né la telefonata. Un silenzio che, come spesso accade in questi casi, vale più di una conferma. Nell’equilibrio precario del Medio Oriente, la guerra si combatte anche – e sempre più – nel campo invisibile dell’intelligence. E questa registrazione, tanto inquietante quanto significativa, è solo uno dei tasselli più visibili di un conflitto che si gioca anche nell’ombra.