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Borse, le conseguenze della guerra Iran-Israele: mercati spiazzati, cosa succede

Pubblicato: 24/06/2025 20:21

Wall Street e le principali Borse mondiali festeggiano, mentre in Medio Oriente si contano le vittime. Il paradosso è servito: nell’epoca della guerra permanente, l’unico fronte che sembra davvero in pace è quello dei mercati. Gli indici azionari, da New York a Tel Aviv, toccano nuovi record, incuranti dei bombardamenti americani in Iran, della risposta di Teheran, delle minacce e delle contromisure. Come se la finanza globale avesse ormai fatto il callo alla crisi.

In un solo giorno, i prezzi di petrolio e gas sono crollati dopo un primo balzo, e le azioni hanno recuperato in poche ore ogni preoccupazione. Il Brent è sceso sotto i 70 dollari, l’indice Eurostoxx ha guadagnato fino al 5,7% e persino il mercato israeliano ha registrato un massimo storico. Gli analisti parlano di “apatia selettiva”: l’ennesimo segnale che la finanza ha imparato a convivere con la guerra.

Gli investitori non credono nell’escalation

A sostenere questa indifferenza ci sono due grandi scommesse. La prima: che il conflitto tra Iran e Stati Uniti non degenererà. La risposta di Teheran, annunciata con ore di anticipo e condotta senza vittime americane, ha dato modo a Trump di congelare subito la situazione. Il cessate il fuoco annunciato dallo stesso presidente Usa è stato accolto dai mercati come una garanzia implicita: la guerra è stata sì dichiarata, ma è già considerata finita.

Come spiega Stephen Innes di Spi Asset Management, “il Medio Oriente potrebbe ancora essere in fiamme, ma per quanto riguarda i mercati, l’allarme antincendio è stato spento”. Una frase che fotografa il distacco tra realtà geopolitica e percezione finanziaria. Il teatro di guerra si riduce a rumore di fondo, assorbito nei modelli previsionali e ignorato nei portafogli.

Il secondo pilastro: il bluff sui dazi

Il secondo motivo è la convinzione, sempre più diffusa, che la minaccia dei dazi globali agitata da Trump sia in realtà solo una strategia negoziale. Dopo aver fatto crollare le Borse con l’annuncio di tariffe su tutte le merci estere, la Casa Bianca ha lasciato trapelare aperture e trattative in corso. L’ipotesi di un accordo con l’Unione europea e con la Cina sembra ora più vicina, e gli investitori scommettono che alla fine prevarrà la logica del compromesso.

Anche per questo, le aspettative su un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve si sono rafforzate. Entro luglio, secondo molti analisti, arriverà un allentamento monetario che dovrebbe sostenere ulteriormente le Borse, compensando ogni effetto negativo derivante dai conflitti o dalla fiammata dei prezzi energetici.

L’indifferenza dei capitali nell’era dello shock permanente

Negli ultimi tre anni, i mercati hanno già affrontato la guerra in Ucraina, la crisi del gas russo, le pressioni inflazionistiche e i conflitti regionali in Medio Oriente. Ogni volta, dopo un crollo iniziale, è arrivato un rimbalzo. Oggi, quel meccanismo si è automatizzato: la paura dura poche ore, e i capitali ripartono come se nulla fosse. La guerra, per gli investitori, è solo una variabile tra le tante. E forse, proprio per questo, la più prevedibile.

I modelli algoritmici, che governano la gran parte delle transazioni, sono ormai tarati su una realtà in cui il rischio geopolitico è una costante. A pesare sui mercati sono altri fattori: l’inflazione, i tassi, i margini aziendali. Se la guerra resta circoscritta e non incide direttamente su questi parametri, può continuare anche all’infinito: i mercati non si accorgeranno nemmeno.

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