
Diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna sotto i riflettori con un dettaglio finora rimasto in ombra: il cosiddetto “gradino zero”, il primo scalino che dal piano terra della villetta di via Pascoli conduce alla taverna, luogo in cui il corpo della giovane fu ritrovato senza vita il 13 agosto 2007. È su questo elemento che la procura di Pavia, guidata dal procuratore Fabio Napoleone, ha deciso di concentrare parte della sua rinnovata indagine.
Il motivo? L’assenza di tracce di sangue, proprio lì dove, secondo la ricostruzione, l’assassino sarebbe passato dopo aver lasciato cadere il corpo di Chiara sulle scale. Una circostanza che appare anomala agli occhi degli investigatori: possibile che chi ha ucciso la ragazza sia riuscito a non calpestare proprio il gradino iniziale, evitando ogni contatto con il sangue?
Il gradino zero e le impronte
Eppure, già nel 2007, su quel “gradino zero” erano state repertate due tracce: la 97F e la “papillare 33”, che però non è mai stata analizzata in sede di incidente probatorio. Il motivo? È andata perduta o distrutta, probabilmente dopo la condanna definitiva del fidanzato di Chiara, Alberto Stasi, oggi in carcere con sentenza passata in giudicato.
Ma quella traccia, la “papillare 33”, è rimasta impressa nei faldoni della nuova inchiesta. È stata infatti attribuita dai periti della procura ad Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, l’unico nome emerso dopo la riapertura delle indagini. Non è l’unica impronta. Un’altra, rilevata sul muro opposto, riporterebbe tracce di sangue, secondo le analisi dei Ris di Parma. Due elementi, uno a destra e uno a sinistra delle scale, compatibili con il movimento di chi si sia affacciato sul vano taverna, poggiando la mano destra e, con la sinistra, forse per mantenere l’equilibrio, abbia strisciato le dita sul lato opposto.
“L’impronta dell’assassino”
Per i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, che cinque anni fa misero nero su bianco le loro conclusioni, è “logico-fattuale che entrambe le impronte appartengano all’assassino”. E oggi, grazie alla nuova mappatura tridimensionale della villetta, gli inquirenti cercano conferme alla loro tesi, tentando di dimostrare che quella posizione delle mani è compatibile solo con una persona presente sul posto prima che arrivassero i soccorsi. Un’azione che si collocherebbe nell’immediatezza del delitto, e non ore dopo, come in una visita casuale o amichevole.
Il caso, insomma, non è affatto chiuso. Gli inquirenti stanno passando al vaglio ogni minimo dettaglio, alla ricerca di quelle “minuzie” che possono cambiare tutto. Dopo anni di domande senza risposta, di tracciati mancanti e di prove scomparse, la giustizia prova a riaprire uno spiraglio. E il “gradino zero”, silenzioso e immobile da quasi due decenni, potrebbe ora diventare il punto di svolta.