
È morto Alvaro Vitali. L’attore romano che ha fatto ridere intere generazioni con le sue smorfie, i suoi fischi e le sue battute sboccate si è spento a 75 anni. Era ricoverato da due settimane per una broncopolmonite recidiva. Pierino non c’è più. Ma resta vivo il “Vitali-pensiero”, quella visione disarmata, popolare, irriverente e malinconica dell’Italia che lui ha raccontato, senza essere mai davvero accettato da nessuno.
In questa lunga intervista rilasciata nel 2023 e ora tornata virale, Vitali si raccontava come un sopravvissuto: alla gloria, al disprezzo, all’oblio. Senza risentimento, ma con quella malinconia romanesca che trasforma la sconfitta in battuta.

L’elettricista che Fellini portò a Cinecittà
Faceva l’elettricista a Trastevere quando un amico lo portò a Cinecittà: Fellini cercava un ragazzino magro, e lui sapeva fischiare come un merlo. “Chi è Fellini?” chiese candidamente. Era il 1969. Da allora non si è più fermato.
“Mi fecero aspettare sette ore seduto su una panchina. Poi, accecato dal faro, vidi solo un cappello e una sciarpa. La voce stridula chiese: ‘Chi sa fischiare come un merlo?’”. Era Federico Fellini. Lo scelse. Così iniziò la carriera del clown che aveva abbandonato la terza media, era cresciuto con la nonna e non aveva mai visto Parigi prima di I clowns.

Da Amarcord a Edwige Fenech: il corpo comico dell’Italia
In Amarcord fu pagato 150.000 lire al giorno. Era la fame, diceva. E forse anche il bisogno di essere visto. Dopo Fellini arrivarono Nando Cicero e Edwige Fenech, e con loro le commedie sexy. La poliziotta fa carriera, La liceale, Pierino medico della Saub. Il suo corpo buffo, infantile, sbalordito dalle donne, diventò lo specchio deformante del maschio italiano.
“Erano una presa in giro del latin lover, dell’ipocrisia democristiana. Io rappresentavo l’Italia profonda: quella che sbava e ride”. Rideva anche il clero. “I preti me lo dicono: ‘ci facevi ridere tanto’. Faccio ancora serate nelle parrocchie”.
Il successo ignorato dalla sinistra
Eppure Vitali non si è mai sentito parte del giro. “Ero del Pci. Ma non mi hanno mai invitato alla Festa dell’Unità”, raccontava con amarezza. “Andavo in giro con l’altoparlante ad annunciare Pajetta. Ma mi guardavano come fossi trash. Ero popolare, non popolarizzabile”.

L’élite lo ignorava. L’amico Lino Banfi non lo ha più cercato. E quando arrivarono i cinepanettoni, Vitali rimase fuori. “Non me lo spiego. Il telefono ha smesso di squillare. Ero ancora popolarissimo, ma niente. Sono scomparso”.
Dalla depressione alla pensione: “Mi hanno fregato i contributi”
La depressione arrivò silenziosa. “Mi mancava l’aria. Non volevo più vedere nessuno”. La moglie Stefania Corona lo salvò portandolo con sé nelle sue serate musicali. E oggi, a 75 anni, vive con 1.200 euro di pensione, “perché mi segnavano dieci giornate su trenta. Non c’erano controlli, mi sono fidato”.
Ha scritto due sceneggiature, ma nessuno le vuole produrre. Ha fatto circa 150 film, ma la Rai quasi non li ha mai trasmessi. Solo le reti private, in loop per anni. “Ogni sei mesi mi arriva un assegno per i passaggi tv. Campo così, e con le serate”.

“Vorrei solo un ultimo film”
“Non penso di aver avuto meno di quanto meritassi”, diceva. “Ma è finita troppo presto”. Il suo sogno era uno solo: fare un ultimo film, per “fargliela vedere a chi non ha più creduto in me”.
Quel film non l’ha mai girato. Ma l’Italia che rideva con Pierino ancora lo cerca nei palinsesti notturni, nelle sagre di provincia, negli applausi di chi lo fermava per strada: “Tu sì che ce facevi divertì”.
E oggi, in quel fischio del merlo che lo rese attore per caso, forse c’era già tutto il destino di Alvaro Vitali: uno che arrivava dal basso, che fischiava per vivere, che fece ridere tutti tranne chi avrebbe dovuto capirlo.