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Cos’è l’Articolo 5 della Nato e perché Trump vuole mandarlo in frantumi

Pubblicato: 25/06/2025 14:44
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Dipende dalla definizione”. Con questa frase, pronunciata mentre era in volo verso il vertice Nato all’Aia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sganciato una bomba politica sull’Articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. Non si tratta più di un’uscita da campagna elettorale, ma della posizione ufficiale del capo di Stato e comandante supremo delle forze armate americane. Tradotto: in caso di attacco a un Paese europeo, l’intervento automatico degli Usa non è più scontato.

Le cancellerie europee hanno letto quelle parole per ciò che sono: un colpo frontale alla credibilità dell’Alleanza, il cui valore strategico è sempre dipeso dalla deterrenza americana. Se il presidente in carica mette in dubbio il meccanismo stesso della solidarietà militare, l’intera architettura Nato vacilla.

L’Articolo 5, cuore dell’Alleanza

Firmato nel 1949, l’Articolo 5 recita che un attacco armato contro uno o più membri dell’Alleanza “sarà considerato come un attacco contro tutti”. In altre parole, se colpisci uno, rispondono tutti. È la clausola che ha garantito la sicurezza collettiva dell’Occidente per oltre settant’anni, e che è stata invocata una sola volta: dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 a sostegno degli Stati Uniti.

Non si tratta di un obbligo automatico all’intervento militare – ogni Stato può decidere in che modo contribuire – ma il suo valore politico è sempre stato inteso come garanzia assoluta. O almeno, fino ad ora.

Le letture “restrittive” che minano la coesione

Trump ha aperto la porta a un’interpretazione soggettiva e selettiva dell’Articolo 5. Ha detto che “ci sono vari modi per definirlo”, lasciando intendere che un eventuale attacco dovrebbe prima essere valutato: da chi è partito, contro chi, con quali motivazioni. E che, in alcuni casi, potrebbe non valere la pena intervenire.

È un messaggio devastante, perché introduce l’incertezza strategica proprio dove finora aveva regnato la chiarezza. Se Mosca capisce che la risposta americana non è garantita, potrebbe spingersi più in là. Se Varsavia o Vilnius iniziano a dubitare del soccorso Usa, potrebbero correre ai ripari in autonomia. E se Berlino e Parigi capiscono che Washington non c’è più, saranno costrette a ripensare l’intera postura di sicurezza dell’Europa.

Il vero obiettivo: trattare da posizioni di forza

Non è la prima volta che Trump mette in discussione l’impianto della Nato. Già nel suo primo mandato aveva bollato l’Alleanza come “obsoleta” e aveva minacciato ritorsioni contro i Paesi che non spendevano abbastanza in difesa. Il suo obiettivo, anche stavolta, sembra essere quello di usare il ricatto strategico per costringere gli alleati a pagare di più.

Ma questa volta lo fa da presidente, non da outsider. E lo fa nel momento in cui l’Europa è più esposta: tra la guerra in Ucraina, le tensioni in Medio Oriente e l’instabilità ai confini africani, il segnale che arriva da Washington è di disimpegno selettivo, non di solidarietà.

L’effetto domino sul futuro dell’Alleanza

Il danno più grave potrebbe non essere immediato, ma strutturale. Se ogni Stato inizia a pensare che l’Articolo 5 non protegge più davvero, il patto collettivo si svuota dall’interno. Le nazioni più esposte potrebbero accelerare il riarmo nazionale, cercare nuovi alleati o addirittura mettere in discussione la propria permanenza nella Nato.

Paradossalmente, questo scenario potrebbe riaccendere il dibattito su una vera difesa europea autonoma, tanto invocata quanto mai realizzata. Per ora, però, l’effetto concreto è uno solo: l’ombrello della Nato non è più impermeabile. E lo ha detto – anzi, minacciato – il presidente del Paese che lo tiene aperto da 75 anni.

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