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Garlasco, l’audio shock delle zie di Chiara: “Se è morta tra le 9,30 e le 10 ci siete dentro voi”

Pubblicato: 25/06/2025 08:41
Garlasco audio zie Chiara

Sono intercettazioni che pesano come macigni quelle tra Maria Rosa Cappa e la sorella Carla, registrate il 12 febbraio 2008 nell’ambito dell’inchiesta per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007. Le due donne, zie della vittima, commentano le richieste della pm Rosa Muscio, titolare dell’indagine, che in quel momento aveva deciso di rivalutare gli alibi di Maria Rosa e delle sue due figlie, Stefania e Paola Cappa. Nessuna delle tre è mai stata indagata per l’assassinio che avrebbe poi portato alla condanna di Alberto Stasi, ma i colloqui con il magistrato sembrano aver lasciato un segno profondo.
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«Carla! Dodici ore sono stata là… dalle 11.30 della mattina, siamo andate tutte e tre… ognuna quattro ore», racconta Maria Rosa, spiegando la durata degli interrogatori. Le due sorelle analizzano i dettagli degli alibi, discutendo di scontrini, commissioni, e persino di come erano vestite. «Lei doveva essere sicura al cento per cento… mi ha chiesto come ero vestita la mattina, la sera, a che ora sono uscita… io non ho niente da nascondere», afferma con decisione Maria Rosa.

Il nodo dell’orario del delitto

Ma il passaggio cruciale arriva quando si discute dell’orario della morte di Chiara. Carla osserva con preoccupazione: «Ma a loro fa tanto comodo spostare l’orario di quando è morta Chiara! Perché se Chiara è morta alle 9.30-10, ci siete dentro voi altri, ammesso!». Un’affermazione che rivela la tensione tra la versione dei fatti sostenuta dalla famiglia Poggi e quella della difesa di Stasi. «E invece se metti l’orario più tardi, lui è dentro in pieno!», conclude Carla, alludendo a come la ricostruzione temporale del delitto possa cambiare completamente le responsabilità percepite.

Anche Maria Rosa esprime inquietudine: «Mi sento la spada di Damocle sul collo… per questi qua», riferendosi alla strategia difensiva dell’imputato. Ricorda poi particolari sfuggiti nei primi interrogatori: «Non mi ricordavo neanche più che ero andata in posta, poi sono andata anche dal dottore… ho le fotocopie delle ricette… sono arrivata a casa che erano le undici e mezza passate».

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Le parole della gemella Stefania: “Sto proprio di merda”

Le intercettazioni includono anche un lungo sfogo telefonico di Stefania Cappa, la gemella di Paola. Il 9 febbraio 2008, in lacrime, si confida con un’amica: «Per me è uno schifo… sto proprio di merda… io comunque in questi mesi ho tentato un po’ di rifarmi la mia vita». Racconta di essere stata nuovamente convocata dalla pm Muscio, che questa volta l’ha interrogata non più come semplice teste ma in una forma ufficiale, con tanto di ammonimento sulle false dichiarazioni.

«Quando sono entrata mi ha fatto la sua bella ramanzina… che se dichiaravo il falso, il falso sarà usato contro di me al processo», racconta Stefania. Una frase che l’ha profondamente turbata, al punto da perdere il controllo in un’altra telefonata intercettata: «Le volevo dire: ma mettiti un dito nel culo! Che ora che fai il processo io sono già espatriata in America e non mi vedi neanche, deficiente!», urla parlando dell’autorità giudiziaria.

Le lacune della memoria e la paura del fraintendimento

Dalle intercettazioni emergono due elementi chiave: il primo è l’ansia crescente delle zie e delle cugine di Chiara nel trovarsi sotto esame, pur non essendo formalmente indagate; il secondo riguarda le difficoltà nel ricostruire con precisione i propri movimenti mesi dopo i fatti. Stefania stessa lo ammette: «Magari mi faceva delle domande e io non mi ricordavo… e allora andavo un po’ a logica, eh ma non vada a logica».

Parole che mettono in luce non solo il disagio personale, ma anche la complessità di un’indagine costruita su dettagli temporali e memorie frammentarie. Un quadro che avrebbe favorito le ipotesi alternative della difesa, desiderosa di smontare la tempistica ufficiale per allontanare le responsabilità da Stasi.

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Il peso delle intercettazioni e la linea sottile tra testimoni e sospetti

Le conversazioni telefoniche registrate in quei giorni aprono uno squarcio sulla tensione emotiva e processuale che gravava sulla famiglia di Chiara Poggi. Le zie, le cugine, tutte coinvolte emotivamente ma mai formalmente indagate, finiscono comunque per sentirsi sotto accusa, oppresse dalla paura di sbagliare o di essere fraintese. Carla arriva a chiedere esplicitamente: «Comunque non è che hai fatto delle cose che ti debba rinviare a giudizio per qualcosa?». Maria Rosa risponde: «Ma non credo proprio! Perché altrimenti lo avrebbe fatto subito dall’inizio eh…».

Un’osservazione che rivela come, a distanza di mesi dal delitto, il confine tra testimonianza e sospetto restasse sempre labile, alimentando nervosismo, sfiducia e soprattutto la sensazione di un’indagine ancora aperta a ogni possibilità.

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