
Torna oggi in aula Alessandro Impagnatiello, condannato all’ergastolo per aver ucciso Giulia Tramontano con 37 coltellate lo scorso 27 maggio 2023. Un processo d’appello che si apre nel dolore ancora vivo della famiglia della giovane donna, incinta al settimo mese, e nel mezzo di un dibattito sull’etica della comunicazione mediatica.
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La posizione della Procura
«Giulia è stata uccisa con 37 coltellate, 11 delle quali mentre era ancora viva. Aspettava un bambino. Tre fendenti le sono stati inferti al volto: non letali, ma mirati a sfigurarla». Così la sostituta procuratrice generale Maria Pia Gualtieri, durante un passaggio della sua requisitoria nel processo d’appello a carico di Alessandro Impagnatiello, ha ribadito la sussistenza dell’aggravante della crudeltà.
Per la pg va riconosciuta anche l’aggravante della premeditazione, in linea con quanto stabilito in primo grado dalla Corte d’Assise, che aveva condannato l’ex barman all’ergastolo.
Durante l’intervento dell’accusa, durato meno di mezz’ora, Impagnatiello ha più volte scosso il capo, manifestando dissenso in silenzio.
La protesta della famiglia Tramontano: “Basta spettacolarizzare il dolore”
«Continuare a pubblicare la foto di una donna abbracciata al suo assassino non è informazione: è violenza». Con queste parole, Chiara Tramontano, sorella di Giulia, ha affidato a Instagram un duro messaggio rivolto ai media, alla vigilia del nuovo processo. Un appello accorato contro la spettacolarizzazione del dolore e della morte. «È una mancanza di rispetto verso la vittima, la sua memoria, la sua dignità» ha scritto, aggiungendo che «ogni volta che quella foto appare, non raccontate la verità: la cancellate».
Il messaggio si chiude con una condanna senza mezzi termini al modo in cui la vicenda continua a essere trattata da certa informazione: «Questo non è giornalismo. È complicità».

Il tentativo di ridurre la pena
Nel processo d’appello, Impagnatiello tenta ora di sottrarsi alla pena massima, cercando di ottenere una riduzione dell’ergastolo. Difeso dall’avvocata Giulia Geradini, l’ex barman di 32 anni punta a cancellare le aggravanti che hanno portato alla condanna a vita in primo grado, cercando una via – stretta e difficilmente percorribile – verso una possibile liberazione, forse tra decenni.
Il cuore del ricorso è nella ricostruzione del delitto: secondo la difesa, l’omicidio non sarebbe stato premeditato, bensì frutto di un momento di esasperazione, un «susseguirsi di errori» senza «minima pianificazione». Una tesi che contrasta con quanto stabilito dai giudici del primo grado e dai pubblici ministeri Alessia Menegazzo e Letizia Mannella, secondo cui Impagnatiello aveva pianificato l’omicidio almeno da dicembre 2022, dopo aver appreso della gravidanza della compagna.
Le prove della premeditazione
Le ricerche online effettuate da Impagnatiello nei mesi precedenti – tra cui il veleno per topi con cui cercò di avvelenare lentamente Giulia – sono state considerate dagli inquirenti prove schiaccianti della volontà omicida. «Volevo solo farla abortire», avrebbe dichiarato l’uomo, ma la tesi non ha convinto i giudici.

Secondo la sentenza, il movente si fonda su un impianto narcisistico: Giulia aveva scoperto il doppio gioco del compagno e si era confidata con l’altra donna con cui lui intratteneva una relazione. Questo aveva messo in crisi il “castello di menzogne” costruito da Impagnatiello, e lo aveva reso oggetto di scherno sul lavoro. L’uomo, in preda al timore di un crollo dell’immagine pubblica e privata, decise di agire.
L’aggressione e il tentativo di occultamento
L’omicidio è avvenuto intorno alle 19 del 27 maggio 2023, all’interno dell’appartamento di Senago dove la coppia viveva. Impagnatiello, secondo la ricostruzione del tribunale, ha colpito Giulia alle spalle, con freddezza, infliggendole 37 coltellate. Dopo averla uccisa, ha tentato di cancellare le tracce: lavando il sangue dal pavimento, cercando di bruciare il corpo nella vasca da bagno e, fallito questo tentativo, nascondendolo per tre giorni tra cantina e garage, fino a disfarsene tra le sterpaglie vicino ai box auto.
Nel frattempo, inscenava la scomparsa, fingendo di essere stato lasciato e partecipando alle ricerche, mentre il corpo della compagna giaceva abbandonato a pochi metri da casa.
La crudeltà e il terrore negli ultimi istanti
Un passaggio particolarmente doloroso della sentenza riguarda la consapevolezza della vittima. Secondo i giudici, Giulia Tramontano ha avuto il tempo di realizzare che, con lei, stava morendo anche il figlio che portava in grembo. Una consapevolezza che ha generato un’ulteriore sofferenza, gratuita e inutile, aggravante che ha portato a configurare la crudeltà come elemento chiave nella condanna all’ergastolo.
La richiesta di giustizia riparativa
Nella memoria difensiva, l’avvocata Geradini ha chiesto che Impagnatiello venga ammesso a un programma di giustizia riparativa. L’imputato, secondo la difesa, avrebbe dimostrato «piena consapevolezza» di ciò che ha fatto e avrebbe chiesto scusa alla famiglia della vittima. Il suo obiettivo sarebbe oggi quello di poter «iniziare un nuovo percorso di vita», utile a riparare il danno e a ricomporsi socialmente, quando un giorno potrà lavorare. Ma questa ipotesi, secondo molti osservatori, appare oggi impraticabile, soprattutto considerando la posizione della famiglia Tramontano, che mai potrebbe accettare un simile gesto come risarcitorio.
Verso la sentenza d’appello
Il pubblico ministero generale Maria Pia Gualtieri non ha presentato appello, segno che l’accusa chiederà oggi la conferma della sentenza di primo grado. Nella stessa aula della Corte d’assise d’appello di Milano dove l’ergastolo fu pronunciato il 25 novembre 2023, si attende ora un nuovo, pesantissimo verdetto.
Un giudizio che, comunque vada, non potrà restituire Giulia Tramontano alla sua famiglia. Ma che resta un passaggio decisivo nel percorso – doloroso, infinito – verso una giustizia che sia davvero rispettosa della verità, della memoria e della dignità.