
Altro che terza guerra mondiale. Quella andata in scena tra Stati Uniti, Iran e Israele è stata una rappresentazione ben congegnata, un’operazione di propaganda multilaterale con l’unico scopo di guadagnare consenso interno.
Si tratta di una tesi ardita, è vero, che contrasta con la visione della maggior parte dei commentatori. Ma è anche un’opinione argomentata che nasce da uno scoop del Giornale d’Italia, che – citando fonti attendibili dell’intelligence occidentale – ricostruisce la dinamica di una crisi finta, in cui ogni mossa era già scritta prima ancora che il primo missile venisse lanciato.
Un patto segreto dietro le quinte del conflitto
Secondo quanto affermato nel reportage del quotidiano, Donald Trump avrebbe ricevuto il via libera informale da Teheran ben prima dell’escalation pubblica. Il tutto sarebbe stato mediato da canali diplomatici paralleli, non ufficiali ma operativi, attraverso Oman, Qatar e una fitta rete di ambasciate ombra.
Prima ancora del “bombardamento simbolico” della base americana in Qatar, i vertici iraniani avrebbero già messo in sicurezza i siti sensibili, trasferendo impianti e materiali radioattivi nel deserto. Anche Israele sapeva, e infatti aveva calibrato l’escalation. Ma quando il premier Benjamin Netanyahu ha alzato la posta, Trump ha perso le staffe: “Dovevamo solo giocare alla guerra!”, avrebbe protestato, irritato dal rischio che lo scontro sfuggisse di mano.

Una messinscena per rilanciare Trump (e tutti gli altri)
Il contesto è chiaro: Gaza è un pantano, l’Ucraina è un rebus per ora senza soluzione, l’economia Usa scricchiola, le tensioni interne montano. In questo scenario, a pochi mesi dalle elezioni, Trump aveva bisogno di una trovata ad effetto. E cosa meglio di un attacco calibrato all’Iran? Nessun vero danno, solo retorica, missili mirati e tanto rumore mediatico.
Netanyahu, da parte sua, ha potuto rivendere l’operazione come una vittoria personale: “Teheran in ginocchio”. Gli ayatollah, infine, hanno avuto la loro narrazione utile: “Abbiamo resistito all’imperialismo”, pur avendo nel frattempo smontato mezza infrastruttura nucleare per nasconderla.
Il nucleare iraniano è ancora lì
Tutto perfetto, finché CNN e New York Times non hanno fatto saltare il banco: il programma nucleare iraniano non è stato affatto annientato, ma solo ritardato di qualche mese. Giusto il tempo di ricostruire qualche parete e riavviare le centrifughe. La replica di Trump? La solita: “Fake news!”.

Ma all’interno del Pentagono la preoccupazione è reale: le centrali cruciali non sono state toccate. E mentre la macchina mediatica sforna slogan, i generali tacciono, consapevoli di aver assistito a una guerra di cartapesta.
Tutti vincitori, nessun cambiamento
Alla fine, tutti si dichiarano vincitori. Ma nessuno ha davvero vinto. Il regime iraniano è ancora lì, indebolito ma in piedi. Il cambio di potere a Teheran, agitato da Trump e Netanyahu, resta retorica da comizio. Gli Stati Uniti si atteggiano a sceriffi, ma con la pistola scarica.
Nel frattempo Israele rimane in allerta, sapendo di non aver risolto nulla. Secondo questa narrazione, dunque, la guerra sarebbe poco più di una finta ben orchestrata per costruire consensi. E alla fine tutti ne avrebbero tratto vantaggio e nulla sarebbe cambiato davvero.