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Incontro Trump-Zelensky, è svolta: “Patriots all’Ucraina. Putin? Sta sbagliando”

Pubblicato: 25/06/2025 19:45
incontro trump zelensky

All’Aja, mentre le bandiere dei Paesi membri sventolavano in un rituale ormai stanco, si è consumato uno degli incontri più attesi – e potenzialmente dirompenti – del vertice NATO: il faccia a faccia tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky. Cinquanta minuti di colloquio, un tempo lungo per la diplomazia, che hanno svelato più di quanto i comunicati ufficiali lascino intendere.

Non si è trattato solo di una conversazione tra due leader, ma dell’incrocio tra due visioni del mondo, due retoriche, due strategie comunicative radicalmente opposte. E, soprattutto, tra due concezioni inconciliabili della guerra in Ucraina e della pace da raggiungere.

Zelensky, la sobrietà del cambiamento

Volodymyr Zelensky si è presentato con un abbigliamento diverso rispetto al disastroso incontro di febbraio nello Studio Ovale. Nessuna maglietta militare, nessuna felpa verde oliva: giacca scura, camicia sobria, ancora ruvida, certo, ma con un evidente sforzo di formalità. Come a dire: sono sempre il leader di un Paese in guerra, ma oggi voglio parlare da statista, non da comandante in trincea.

E le sue parole, affidate più a X che alle sale stampa, hanno voluto restituire l’immagine di un confronto “lungo e significativo”. Nessuna dichiarazione eclatante, nessun tono bellico. “Abbiamo discusso di come raggiungere il cessate il fuoco e una pace autentica”, ha scritto Zelensky. “Apprezziamo la disponibilità ad aiutare”. È un messaggio pensato per essere letto a Mosca tanto quanto a Washington: Zelensky mostra apertura, moderazione, diplomazia. Ma è davvero così?

Trump, il pacificatore opportunista

Donald Trump, da parte sua, ha vestito i panni del “deal maker”. Come nel suo stile, ha preferito parlare a ruota libera, durante la conferenza stampa conclusiva del summit: “Penso che sia un ottimo momento per finirla”, ha detto, riferendosi alla guerra. “Parlerò con Putin per vedere se riusciamo a capirlo”.

Parole ambigue, come sempre, ma cariche di implicazioni. Da un lato, Trump ammette che la guerra è diventata insostenibile – citando i 7000 soldati uccisi in una sola settimana, tra ucraini e russi, un dato impressionante e in parte non verificabile. Dall’altro, ribadisce il suo vecchio refrain: la pace non passa per il rafforzamento dell’Ucraina, ma per una trattativa diretta con Putin. Una trattativa in cui lui, Trump, si pone come intermediario privilegiato.

Non è una novità, ma il fatto che lo dica davanti a Zelensky, dopo un faccia a faccia lungo quasi un’ora, cambia il peso politico di questa narrativa. Per Trump, la guerra può finire solo se qualcuno – lui – ha la forza e il carisma per “convincere” il leader del Cremlino. Una visione profondamente diversa da quella dell’attuale amministrazione Biden, che punta invece su un continuo supporto militare all’Ucraina e su una strategia di logoramento nei confronti della Russia.

Donald Trump, durante la conferenza stampa di chiusura del vertice NATO, ha espresso la sua intenzione di esplorare la possibilità di fornire sistemi di difesa aerea Patriot all’Ucraina. Ha sottolineato la difficoltà di acquisire questi sistemi avanzati.

Due retoriche inconciliabili

Zelensky ha dichiarato di aver presentato a Trump “i fatti reali sul terreno”, e ha tenuto a precisare che “Putin non sta vincendo”. È una frase cruciale: significa che, per Kiev, ogni eventuale trattativa deve partire da una posizione di forza, non di debolezza. Non c’è alcuna intenzione – almeno a parole – di accettare una pace imposta, tantomeno mediata da un ex presidente americano che in più occasioni ha definito Putin “un uomo molto intelligente”.

Trump, invece, sembra ormai sempre più vicino a quella che potremmo definire una “pace trumpiana”: rapida, brutale, bilaterale. Nessun processo multilaterale, nessun ruolo per l’Unione Europea o per la stessa NATO, che lui stesso ha più volte attaccato. L’obiettivo è chiudere la guerra come si chiude una trattativa commerciale: strette di mano, concessioni reciproche, e poi avanti.

Ma su cosa dovrebbe cedere Zelensky? E cosa sarebbe disposto a cedere Putin? Trump non lo dice. Ma l’idea che la guerra possa essere chiusa con una telefonata a Mosca è un messaggio che inquieta molti, dentro e fuori la NATO.

Dietro le foto di rito, dietro le dichiarazioni diplomatiche, resta una verità amara: Trump e Zelensky non parlano la stessa lingua, politicamente e culturalmente. Uno vede la guerra come un problema da archiviare in fretta, l’altro come una battaglia esistenziale. Uno si fida della sua capacità di dominare la scena, l’altro lotta ogni giorno per sopravvivere. Il vertice NATO all’Aja si chiude dunque con una stretta di mano, ma senza alcuna certezza. L’unica cosa certa, oggi, è che la strada per la pace resta lunga e tortuosa. Zelensky lo sa. Trump lo cavalca.

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