
VARESE, 25 giugno 2025 – Si è concluso oggi, con sentenze di condanna significative, il primo capitolo di una vicenda giudiziaria che ha scosso profondamente l’Arma dei Carabinieri e l’opinione pubblica nel Varesotto.
Due carabinieri, un tempo custodi dell’ordine, sono stati ritenuti colpevoli di tentato omicidio, sequestro di persona, porto abusivo di arma e rapina aggravata, infliggendo una macchia indelebile sulla divisa che un tempo indossavano con onore. La pronuncia del giudice delle udienze preliminari del tribunale di Varese, Niccolò Bernardi, ha stabilito pene severe: 10 anni e 8 mesi per uno dei militari e 8 anni e 8 mesi per l’altro.

Il fatto
I fatti risalgono a poco meno di un anno fa. A mezzanotte, in un’area boschiva di Castiglione Olona, in via Rosselli, un pusher di origini maghrebine viene trovato agonizzante in una pozza di sangue. Le condizioni del giovane, clandestino e privo di documenti, sono critiche, tanto da richiedere due interventi chirurgici e una prognosi riservata.
L’indagine, avviata tempestivamente dalla Procura di Varese, ha rapidamente scartato l’ipotesi iniziale di un regolamento di conti tra spacciatori. La verità emersa è stata ben più sconcertante: gli autori del tentato omicidio sarebbero stati due militari dell’Arma, che agivano fuori servizio e in totale autonomia. La loro motivazione, secondo quanto appurato, sarebbe stata quella di “debellare” il fiorente business dello spaccio di stupefacenti con “metodi” evidentemente fuorilegge e ricorrendo all’uso delle armi.
Quando finalmente in grado di parlare con i magistrati, il pusher ha accusato i due carabinieri di averlo “taglieggiato”. Le sue dichiarazioni hanno aperto la strada a ulteriori contestazioni, rivelando almeno altri due episodi di rapina e sequestro di persona a suo danno, perpetrati dai “carabinieri infedeli”. Attualmente, i due militari sono sospesi dal servizio e continuano a essere indagati dalla Procura.
Le richieste dell’accusa
I pubblici ministeri Lorenzo Dalla Palma e Marialina Contaldo avevano invocato condanne ancora più severe per i due militari – uno in servizio presso la compagnia di Luino e l’altro alla stazione di Malnate all’epoca dei fatti – chiedendo rispettivamente 11 anni e 9 anni e 6 mesi. La sentenza odierna, sebbene leggermente inferiore alle richieste, conferma la gravità delle accuse e la fondatezza del quadro probatorio raccolto dalla Procura.
Le motivazioni della sentenza, attese entro 90 giorni, chiariranno i dettagli che hanno portato a queste condanne. È tuttavia quasi certa l’intenzione delle difese di ricorrere in appello, un passo che prolungherà l’agonia giudiziaria e manterrà alta l’attenzione su questa vicenda dai risvolti inquietanti.
L’accusa ha dipinto un quadro sconcertante: i carabinieri, anziché reprimere il traffico di droga, avrebbero sfruttato la loro posizione per rapinare i pusher nei “boschi del Varesotto”, un eufemismo che indica le aree boschive diventate tristemente note come piazze di spaccio a cielo aperto. Questa deviazione dai compiti istituzionali ha gettato un’ombra di sfiducia sull’operato di alcuni membri delle forze dell’ordine.

Le altre persone coinvolte
Un terzo militare coinvolto nella vicenda, accusato di un singolo episodio di rapina ai danni dello spacciatore, ha optato per il patteggiamento, concordando una pena di 4 anni e 6 mesi. Questo dimostra la ramificazione di un’attività illecita che, secondo l’accusa, non era un caso isolato, ma un modus operandi consolidato.
Non meno rilevante è la posizione di una donna, rinviata a giudizio con udienza fissata per il 6 novembre, accusata di favoreggiamento per aver avuto contatti con la famiglia del pusher nel tentativo di offrire aiuto. Questo dettaglio evidenzia la rete di relazioni che si è sviluppata attorno alla vittima e alla drammatica notte dell’aggressione.
Questa sentenza, seppur non definitiva, rappresenta un passo cruciale verso la verità e la giustizia in una vicenda che ha messo a nudo le fragilità e le deviazioni all’interno di un’istituzione fondamentale per la sicurezza dei cittadini. La speranza è che il prosieguo del percorso giudiziario possa fare piena luce su tutte le responsabilità e ripristinare la fiducia nell’integrità delle forze dell’ordine.