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Vertice Nato, la promessa di Meloni a Trump: “Tre miliardi in più per le armi”

Pubblicato: 25/06/2025 10:24
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Nella fotografia ufficiale della cena inaugurale del vertice Nato all’Aja, Giorgia Meloni siede accanto a Donald Trump. Intorno al tavolo, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il re dei Paesi Bassi, il segretario generale della Nato Mark Rutte e il presidente ceco Petr Pavel. Assente, invece, il leader ucraino Volodymyr Zelensky, sempre più distante dalla narrativa diplomatica dell’ex presidente americano, in un quadro che non dispiace a Vladimir Putin.
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Per Meloni, quella immagine è politicamente strategica: le consente di mostrarsi allineata al fronte atlantico senza rinunciare a un ruolo mediatore tra le posizioni statunitensi e le reticenze dell’Europa. Una contiguità fisica e politica con il leader del mondo Maga che la premier italiana gioca con cautela, tentando di mantenere un profilo coerente tanto a Roma quanto a Bruxelles.

Promesse sull’aumento delle spese militari

Durante il colloquio con Trump, Meloni ribadisce la volontà italiana di rispettare gli impegni Nato, rassicurandolo sul progressivo aumento delle spese militari. Il piano del governo prevede un incremento annuale dello 0,15% del Pil, che significherebbe circa 3,2 miliardi di euro in più ogni anno fino al 2035. Se confermato, l’aumento complessivo ammonterebbe a oltre 32 miliardi di euro rispetto ai livelli attuali.

Una promessa ambiziosa, che dovrà confrontarsi con i vincoli di bilancio e con la capacità politica del governo di gestire il tema all’interno di un quadro economico ancora fragile. Per ora, Meloni può vantare il risultato di aver ottenuto una clausola di flessibilità al summit dell’Aja, una concessione frutto di un lavoro diplomatico condiviso con Gran Bretagna e Francia.

Le tensioni con la Spagna e il calcolo politico

A ostacolare un’intesa unanime sull’aumento delle spese per la difesa è soprattutto la Spagna, dove il premier Pedro Sanchez si dice contrario a superare il 2,1% del Pil. Roma, in questa contesa, sceglie una posizione defilata: lascia che Madrid si esponga, senza schierarsi apertamente, e derubrica la questione a dinamiche di politica interna spagnola.

In realtà, se Sanchez dovesse ottenere una deroga, anche l’Italia potrebbe beneficiarne senza essere entrata direttamente nella disputa. Un posizionamento attendista che permette a Palazzo Chigi di tutelare la propria immagine internazionale, evitando al contempo di scontentare l’alleato americano.

Il rapporto strategico con gli Stati Uniti

La relazione con Donald Trump resta un pilastro fondamentale della strategia estera di Meloni. L’Italia ospita sul suo territorio numerose basi militari statunitensi, inclusi impianti con potenziale nucleare tattico, un elemento che rafforza la sicurezza nazionale e, al tempo stesso, l’interdipendenza con Washington.

La premier è consapevole che, in vista di un probabile disimpegno americano dall’Europa a favore dell’Indopacifico, il mantenimento di buoni rapporti con Trump è cruciale. Tuttavia, durante un incontro informale al Quirinale, emergono dubbi e riserve condivise con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alcuni ministri, in particolare sull’imprevedibilità del tycoon e sull’impatto delle sue scelte sui dossier più delicati.

Le incognite internazionali e la crisi in Medio Oriente

Uno degli aspetti più complessi del confronto con Trump è la gestione della crisi in Medio Oriente. L’annuncio improvviso di un cessate il fuoco tra Israele e Iran ha colto di sorpresa anche Roma, segno della volatilità con cui gli Stati Uniti stanno affrontando lo scenario regionale. La questione è stata affrontata da Meloni e Mattarella in un colloquio riservato prima del pranzo al Colle, a testimonianza della delicatezza del momento.

Intanto, mentre Antonio Tajani è al telefono con il segretario di Stato Usa Marc Rubio, la premier si prepara a incontrare Trump a cena, decisa a ribadire l’impegno dell’Italia per la stabilità dell’Alleanza Atlantica.

Nuovi aiuti all’Ucraina e pressioni europee

Altro punto sensibile del dialogo transatlantico riguarda l’Ucraina. Se da Washington continuano ad arrivare segnali ambigui, Roma lavora a un dodicesimo pacchetto di aiuti militari a Kiev, in linea con l’approccio delle altre capitali europee. Una posizione che trova il favore del commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius, il quale, parlando con alcuni giornalisti all’Aja, invita l’Italia a proseguire negli sforzi e a utilizzare i fondi del programma Rearm, approfittando della clausola di flessibilità già ottenuta.

Secondo Kubilius, l’Europa ha finora destinato meno dello 0,1% del proprio Pil all’Ucraina, segno che esiste ancora ampio margine di intervento. Un messaggio rivolto anche a Meloni, chiamata a mediare tra il sostegno a Kiev e le esigenze interne di bilancio.

Un vertice tra diplomazia e contabilità

Il vertice Nato all’Aja si conferma un banco di prova per Giorgia Meloni, chiamata a muoversi tra le tensioni geopolitiche e le richieste alleate. Il legame con Trump si rivela strategico ma rischioso, specie in un contesto in cui le regole del gioco cambiano rapidamente e le promesse internazionali devono poi fare i conti con la realtà politica ed economica nazionale.

Mentre Roma cerca di mantenere una posizione centrale nel dibattito europeo, la premier gioca su più tavoli, consapevole che l’equilibrio tra alleanze, credibilità e risorse sarà decisivo per il ruolo dell’Italia nel futuro assetto della Nato.

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