
Riarmarsi non è fare un favore agli Stati Uniti. È cominciare a liberarsene. È imparare a camminare da soli, senza chiedere protezione, senza restare bambini in un mondo di adulti. Non c’è provocazione in questa tesi: c’è realismo geopolitico. L’unica vera provocazione è continuare a pensare che l’Europa possa restare un gigante economico e morale, ma senza muscoli. È una favola che oggi non regge più.
Un’Europa disarmata è un’Europa dipendente. Non dalle guerre, ma dalle decisioni altrui. Dalle elezioni americane, dagli umori della Casa Bianca, dalle priorità di chi ci vede da sempre come una retrovia strategica, non come un alleato alla pari. Se domani gli Stati Uniti decidessero di non difenderci, nessuno potrebbe impedirglielo. La loro potenza è il nostro alibi. Ma anche la nostra condanna.
Il riarmo come precondizione della libertà
Chiunque abbia letto la storia del secolo scorso sa che non esiste libertà senza capacità di difenderla. Ogni volta che l’Europa è stata libera, è stato perché aveva la forza — o l’alleato armato — per esserlo. Ma un alleato non è un padrone. E la NATO, oggi, è una piramide: al vertice c’è Washington, tutti gli altri a scalare.
Il riarmo europeo non è una scelta di guerra: è una scelta di dignità. Significa dotarsi di strutture militari, logistiche, industriali e strategiche autonome, non per rompere con gli Usa, ma per non dover dipendere da loro. Solo così possiamo essere interlocutori credibili, e non satelliti. Solo così possiamo decidere quando intervenire, dove intervenire, come intervenire.
Chi oggi sostiene che aumentare le spese militari europee serva agli americani sbaglia bersaglio: è vero il contrario. Una Europa armata è l’inizio di un’Europa libera, capace anche di dire no, di trattare da pari, di disobbedire quando serve. Esattamente ciò che fa paura a Washington.
Trump, il boomerang dell’isolazionismo
Quando Donald Trump ha detto che l’Articolo 5 della NATO “dipende dalla definizione”, ha fatto più per il risveglio europeo di mille discorsi a Bruxelles. Ha smascherato l’ambiguità fondamentale del patto atlantico: non è affatto garantito che l’America venga in nostro soccorso. Dipende. Dalla convenienza, dal momento, dall’umore del presidente.
Paradossalmente, l’isolazionismo trumpiano potrebbe fare il bene dell’Europa. Spingendoci a non dormire più nel letto della protezione americana, ci costringe a pensare con la nostra testa, a costruire una nostra architettura difensiva. Ma questo processo sarà doloroso. Perché decenni di disarmo e disillusione hanno fatto perdere all’Europa la memoria della propria forza.
Trump crede di guadagnare spazio strategico ritraendosi. Ma in realtà sta cedendo influenza. Un’Europa che si arma, se non sarà più dipendente, sarà anche meno obbediente. E questo, per l’America, è un autogol strategico.
La sinistra pacifista che finge di essere antiamericana
C’è un paradosso tutto italiano, e in parte europeo, che merita di essere smontato. È quello della sinistra pacifista e post-sessantottina, che da decenni denuncia la “sudditanza” agli Stati Uniti, salvo poi difenderla nei fatti ogni volta che si parla di autonomia militare europea.
Sono gli stessi che gridano contro la NATO, ma poi ostacolano ogni progetto di difesa comune europea. Gli stessi che chiedono lo scioglimento delle basi americane in Italia, ma che si oppongono all’acquisto di droni, carri armati, munizioni, sistemi di difesa europei. Il loro sogno è una terra di mezzo perenne: non essere davvero alleati, ma non essere nemmeno liberi.
In realtà, la loro è la forma più insidiosa di sudditanza: quella ideologica. Perché perpetua la dipendenza mascherandola da rifiuto. Rifiutano l’America solo a parole, ma la accettano nei fatti. Perché solo così possono continuare a sentirsi innocenti. Preferiscono l’impotenza all’assunzione di responsabilità, la debolezza alla libertà, la neutralità alla storia.
Autonomia non è rottura, è maturità
Difendere l’Europa non significa scegliere tra NATO e difesa comune. Significa non dover più scegliere sotto dettatura. Significa creare un pilastro europeo dentro e oltre la NATO, che parli con la sua voce, che abbia una propria industria bellica, una propria intelligence, una propria volontà politica. Significa smettere di essere il cortile di casa dell’America, per tornare a essere una civiltà.
L’autonomia non è rottura. È la condizione per restare insieme da adulti, non da vassalli. È ciò che ci permetterà, un giorno, di difendere Kiev senza aspettare gli F-35 americani. Di proteggere il Mediterraneo senza aspettare i Marines. Di rispondere a Teheran o a Mosca con mezzi nostri, per obiettivi nostri.
La vera domanda
Chi si oppone al riarmo europeo ha il dovere di rispondere con onestà a una sola domanda: chi ci difenderà, quando gli americani decideranno di non farlo più? Se non c’è una risposta credibile, allora la posizione è irresponsabile. E se la risposta è “nessuno”, allora siamo già morti — solo che non ce ne siamo ancora accorti.
Autonomia vuol dire concretezza. Vuol dire costruire un’Europa capace di restare in Afghanistan anche quando Washington se ne va, se l’interesse europeo lo richiede. Un’Europa capace di difendere l’Ucraina e Israele perché riconosce che la sicurezza di entrambi è anche la sua. Un’Europa protagonista in Africa, non per nostalgia coloniale, ma per responsabilità geopolitica, per controllo migratorio, per dignità strategica.
Essere autonomi non è uno slogan: è una postura nel mondo. È il modo in cui si decide se contare — o sparire.