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“Le difese europee contro i missili non funzionano”. Scatta l’allarme, la notizia che fa paura

Pubblicato: 26/06/2025 09:32
Leonardo difese antimissile europee

C’è un elemento positivo e uno critico nell’attuale assetto della difesa antimissile in Europa. Lo afferma Lorenzo Mariani, Amministratore Delegato di Mbda Italia e Direttore Esecutivo Vendite e Business Development del consorzio Mbda, il polo europeo nato dalla collaborazione tra Airbus, Bae Systems e Leonardo. Secondo Mariani, Italia e Francia si affidano a sistemi Mbda per coprire le minacce a corto, medio e lungo raggio, mentre la Germania ha adottato una linea meno europeista, puntando su prodotti americani come i Patriot e su tecnologie israelo-americane come il sistema Arrow.

Questa completezza tecnologica però convive con una preoccupante frammentazione dei sistemi e con una disponibilità limitata delle risorse: “Non è sufficiente”, avverte Mariani.
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Non reggeremmo un mese come Kiev o Tel Aviv

Alla domanda se l’Europa sarebbe in grado di reggere un mese di attacchi missilistici come quelli che colpiscono regolarmente Kiev o Tel Aviv, Mariani è chiaro: “Non posso fare io questa valutazione, riguarda gli stati maggiori e la Nato, ma la mia impressione da esperto è che, per un mese, no”.

Il gap tra le minacce moderne e la capacità di risposta europea resta ampio, e le cause non sono solo tecnologiche, ma soprattutto industriali e politiche.

Servono decine di miliardi per una vera copertura

Per raggiungere una copertura antiaerea sostanziale, Mariani sottolinea la necessità di svariate decine di miliardi di euro. Risorse che servirebbero per rifornire gli stock, potenziare i missili esistenti, rafforzare la presenza di satelliti, e soprattutto per finanziare ricerca e sviluppo. Questo sforzo, spiega, è cruciale per migliorare i sistemi attuali o svilupparne di nuovi, in grado per esempio di contrastare le minacce rappresentate dai missili ipersonici.

Europa indietro su ipersonici e orbitali

I ritardi europei sono evidenti soprattutto nei sistemi pensati per neutralizzare missili che viaggiano fuori dall’atmosfera o a velocità ipersoniche. “Gli Stati Uniti sono più avanti”, ammette Mariani. Tuttavia, in ambiti come la difesa da minacce all’interno dell’atmosfera, l’Europa è ormai vicina alle capacità americane.

Tuttavia, la capacità produttiva resta il vero nodo. “Serviranno ancora da uno a tre anni perché l’Europa riesca davvero a lanciare la propria macchina industriale“, aggiunge.

La produzione non è pronta per la guerra

Il problema è strutturale. Dopo anni di spese militari ridotte e programmazioni basate su un’ottica post-guerra fredda, oggi le industrie europee non sono pronte a scalare rapidamente. “Raddoppiare o triplicare è una sfida difficile: i nostri fornitori sono spesso piccole e medie imprese“, sottolinea Mariani.

La differenza con la Russia, che ha ormai imboccato una logica di economia di guerra, è netta: “L’Europa non l’ha mai fatto”.

Patriot americani? Liste d’attesa lunghissime

Sul fronte delle forniture statunitensi, la situazione è sempre più complessa. Mariani conferma che ci sono lunghe liste d’attesa internazionali per l’accesso ai sistemi Patriot e anche per tecnologie meno complesse come i missili Stinger. “L’Italia è un utente, ma ha trovato una lista d’attesa enorme. Per cui si è rivolta a noi”, spiega.

Le aziende americane come Raytheon-Rtx o Lockheed Martin offrono i Patriot al Pentagono per circa un miliardo di dollari, ma ai Paesi terzi lo stesso sistema può arrivare a costare fino a 2,5 miliardi.

Il nuovo obiettivo Nato: 3,5% più 1,5% per il cyber

Sull’obiettivo fissato dalla Nato di portare la spesa militare al 3,5% del PIL, più un ulteriore 1,5% in cybersicurezza e infrastrutture, Mariani è favorevole. “Separare il cyber da tutto il resto è positivo. Gli dà visibilità”, afferma.

Paesi come la Polonia hanno già superato questi obiettivi con uno sforzo straordinario. L’Italia, invece, spende oggi tra i nove e dieci miliardi annui per l’acquisto di armamenti. Secondo Mariani, l’industria italiana potrebbe assorbire un raddoppio immediato. Ulteriori aumenti richiederebbero un piano strutturato per l’intera filiera.

Integrazione europea e costi sotto controllo

Una via per migliorare l’efficienza, secondo l’AD di Mbda Italia, è una maggiore integrazione dei sistemi d’arma europei. “I programmi congiunti dovrebbero ricevere finanziamenti comunitari premianti, per spingere i governi a scegliere soluzioni condivise”, afferma.

In questo modo, ogni Stato avrebbe anche maggiore incentivo a controllare i costi. Una visione che guarda a un mercato della difesa europeo più coordinato e meno soggetto alla frammentazione.

Il prestito Safe? Opportunità per l’Italia

Infine, Mariani sostiene che l’Italia dovrebbe sfruttare pienamente il prestito Safe, messo a disposizione dalla Commissione europea con tassi agevolati. “Non ho dubbi: le condizioni saranno favorevoli. Ma soprattutto, il Safe finanzia progetti in collaborazione tra Stati membri. Per l’Italia è una vetrina: non siamo solo compratori, ma produttori ed esportatori di sistemi di difesa“.

Una posizione chiara, che segna la direzione in cui l’industria italiana potrebbe giocare un ruolo di primo piano nella sovranità militare europea.

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