
“Non siamo il nemico, Donald”. È con queste parole, pronunciate a porte chiuse durante il summit dell’Aia, che Giorgia Meloni e Emmanuel Macron hanno tentato di frenare l’escalation protezionista voluta dagli Stati Uniti. Insieme al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, i leader europei hanno sollevato il tema dei dazi nel confronto con Donald Trump, cercando di allentare una tensione che rischia di trasformarsi in una guerra commerciale interna all’Occidente.
Il tono è rimasto misurato, il linguaggio diplomatico. Ma il messaggio è arrivato chiaro: le tariffe contro l’Europa rischiano di minare la coesione atlantica, proprio mentre si moltiplicano gli sforzi per una difesa comune. Il tycoon, questa volta, ha ascoltato in silenzio per oltre tre ore, una rarità nei vertici multilaterali. E tanto è bastato, per gli europei, a interpretare la giornata come un primo passo.
Macron capofila del fronte europeo, Meloni sorprende
Il primo ad alzare la voce è stato Macron, con un intervento che alcune cancellerie definiscono “più politico del previsto”. Il presidente francese ha collegato l’impegno europeo per la sicurezza – in particolare l’aumento della spesa militare – alla necessità di evitare ritorsioni economiche. “Una guerra commerciale – ha detto – è antitetica agli sforzi militari che stiamo facendo”. Poi, in conferenza stampa, l’appello finale: “Tra alleati è molto importante tornare a una vera pace commerciale e ridurre tutte le barriere doganali”.
A colpire però è stata soprattutto Meloni, che ha parlato dopo di lui, segnando un’inedita convergenza tra Roma e Parigi. La premier ha ribadito il sostegno dell’Italia agli impegni sulla spesa militare e ha difeso l’idea di una verifica nel 2029 sugli obiettivi. Poi ha virato con decisione sul commercio, legando il tema dei dazi a quello della sicurezza: “Le barriere doganali fanno il gioco degli avversari”, ha sottolineato, definendo dazi e difesa come “due facce della stessa medaglia”.
Erdogan si unisce al pressing, oggi se ne discute al Consiglio europeo
Anche Erdogan si è unito al pressing, chiedendo a Trump di riconsiderare l’approccio e parlando di rischi “potenzialmente fatali” se l’unità dell’Occidente verrà compromessa da un conflitto economico interno. Non è chiaro se l’ex presidente americano – oggi al suo secondo mandato – abbia davvero raccolto il messaggio, ma la sua partecipazione integrale alla sessione viene letta come un segnale positivo.
La partita ora si sposta a Bruxelles, dove oggi il tema dei dazi USA sarà sul tavolo del Consiglio europeo. Macron si prepara a guidare il fronte del “no” alle tariffe, e secondo fonti diplomatiche tornerà a porre il problema con forza nei prossimi giorni. L’urgenza è concreta: il congelamento delle misure scadrà il 9 luglio, e nessuno scommette su un’intesa rapida tra Washington e Bruxelles.
Von der Leyen in difficoltà, Meloni invita Macron a Roma
La tensione sul dossier ha riflessi anche interni all’Unione europea. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è finita nel mirino di alcune capitali per l’approccio considerato troppo tecnico e poco efficace. Tra i più critici il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha parlato di “eccesso di burocrazia” nella gestione del confronto con la Casa Bianca.
Meloni, più prudente, evita attacchi diretti a Bruxelles per non incrinare il rapporto con Washington. Ma il suo asse con Macron si rafforza dossier dopo dossier. In un gesto che conferma la nuova intesa, la premier ha invitato il presidente francese a Roma per la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, prevista a luglio. E a sorpresa, Macron potrebbe accettare. Un segnale che, almeno sul fronte europeo, la linea del dialogo resta aperta.