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“Destinato al fallimento”. Lo sfregio della Francia, Alvaro Vitali umiliato così: è polemica

Pubblicato: 27/06/2025 19:44
alvaro vitali

Alvaro Vitali si è spento a Roma il 24 giugno all’età di 75 anni a causa di una broncopolmonite. La sua dipartita, un evento luttuoso per il cinema italiano, è stata accompagnata da un articolo de Le Monde che, con un tono a dir poco velenoso, ha tracciato un ritratto dell’attore e della sua carriera che stride violentemente con l’affetto e la popolarità di cui ha goduto in Italia.

L’articolo de Le Monde ha suscitato non poche polemiche, soprattutto in Italia, dove invece la notizia della scomparsa di Vitali ha generato un’ondata di tristezza e sconforto.

Un ritratto distorto e ingiusto

Il quotidiano francese, nel suo impietoso necrologio, ha descritto Vitali come un “personaggio infantile e libidinoso, basso (1,56 metri) e brutto. Con il naso borbonico e gli occhi strabici, sistematico bersaglio per gli altri protagonisti dei film in cui appariva”. Una descrizione che, pur attenendosi a certi aspetti fisici e alle dinamiche comiche dei suoi personaggi, ignora completamente la portata del suo talento. Ridurre un attore a un mero elenco di difetti fisici e comportamentali è un esercizio di meschinità intellettuale che svilisce non solo l’individuo ma anche l’arte interpretativa.

Le Monde prosegue la sua disamina con un’affermazione lapidaria: “la sua popolarità in Francia non raggiunse mai i livelli di cui godette oltralpe per almeno un decennio. In Italia, era una sorta di mito popolare e banale”. Questo ossimoro, “mito popolare e banale”, rivela una profonda incomprensione del fenomeno Vitali nel contesto italiano. Alvaro Vitali non era banale; era l’incarnazione di una comicità schietta, genuina, che parlava direttamente al cuore di un pubblico vastissimo. La sua popolarità non era frutto di sofisticazioni intellettuali, ma di una capacità innata di far ridere, di rappresentare l’italiano medio con le sue fragilità. Definirlo “banale” significa negare il valore intrinseco di una forma d’arte che, pur non ambendo ai fasti della critica d’autore, ha saputo conquistare milioni di spettatori.

Il cinema di genere e la reinterpretazione deleteria

La critica del quotidiano francese si estende poi ai film che hanno reso celebre Vitali, dipingendo un quadro altrettanto negativo. “Inizia il regno delle stelline nude, interpretate da Edwige Fenech, Gloria Guida, Nadia Cassini e altre, oggetto delle attenzioni lascive e sbavanti di un erotomane infantile e sistematicamente sfortunato interpretato da Vitali in titoli come ‘La maestra dà lezioni private’, di Nando Cicero (1975); ‘Il poliziotto dei polli’, di Michele Massimo Tarantini (1976); ‘Il maestro e gli imbecilli’, di Mariano Laurenti (1978), ecc”.

Questa lettura, pur riconoscendo la presenza di attrici che hanno fatto la storia della commedia sexy all’italiana, decontestualizza e demonizza un genere cinematografico che, nel suo periodo d’oro, rappresentava un importante sfogo sociale e culturale. La commedia sexy era spesso intrisa di satira di costume, di critica sociale. Si avvaleva di un linguaggio che, pur audace per l’epoca, era spesso giocoso e privo di vere volgarità. Alvaro Vitali, in questo contesto, non era l’erotomane “lascivo e sbavante” descritto da Le Monde, ma un interprete magistrale di personaggi che, nella loro sfortuna e ingenuità, generavano ilarità e talvolta una punta di tenerezza. La sua goffaggine, la sua incapacità di raggiungere l’oggetto del desiderio, erano proprio gli elementi che lo rendevano simpatico e riconoscibile al pubblico. Ridurre il suo ruolo a quello di un “erotomane infantile” significa negare la sottile comicità e l’autoironia che Vitali sapeva infondere in ogni sua interpretazione.

La “regressione” e Il declino narrato

Secondo Le Monde, “Vitali diventa il simbolo di una regressione che caratterizza una parte del cinema popolare italiano, quella della furia immatura e inarrestabile”. E ancora: “questo tipo di cinema, che non dubitava di nulla, era destinato al fallimento. La tradizione della comicità si evolve verso forme più sofisticate, il pubblico dei suoi film si rivolge al piccolo schermo e la carriera di Alvaro Vitali si interrompe bruscamente nel 1983. Diventa ospite fisso in televisione e poi viene progressivamente dimenticato dall’industria audiovisiva”.

Questa prospettiva, seppur parzialmente condivisibile nel riconoscimento del declino di un certo tipo di cinema, pecca di una visione eccessivamente critica e unidirezionale. Affermare che Vitali sia stato il “simbolo di una regressione” è un giudizio sommario che non tiene conto delle dinamiche culturali e storiche. Ogni epoca ha le sue forme d’arte, e il cinema popolare, con le sue specificità, non può essere giudicato con gli stessi criteri del cinema d’autore. La “furia immatura e inarrestabile” di cui parla il quotidiano francese era, per molti versi, l’energia vitale di un genere che rispondeva a esigenze precise del pubblico.

Il declino del cinema di genere in Italia, e di conseguenza della carriera cinematografica di Vitali, non fu un “fallimento” intrinseco del genere stesso, ma il risultato di un cambiamento nel panorama mediatico e nel gusto del pubblico. L’avvento della televisione commerciale e l’evoluzione delle abitudini di consumo dell’intrattenimento hanno effettivamente spostato l’attenzione verso altri prodotti. Tuttavia, descrivere il suo passaggio alla televisione come un semplice “ospite fisso” e la sua successiva “progressiva dimenticanza” dall’industria audiovisiva è un’ulteriore semplificazione. Alvaro Vitali ha continuato a lavorare, a essere presente, a incarnare un pezzo di storia della comicità italiana, anche se con minore visibilità rispetto al periodo d’oro del cinema. La sua non è stata una “dimenticanza”, ma una naturale evoluzione di una carriera che, come molte altre, ha attraversato diverse fasi.

L’eredità di Alvaro Vitali

Le parole de Le Monde su Alvaro Vitali sono un’occasione per riflettere su come la critica estera, in questo caso francese, possa talvolta peccare di miopia nel giudicare fenomeni culturali lontani dalla propria sensibilità. Il cinema di Alvaro Vitali, e più in generale la commedia sexy all’italiana, non era destinato a piacere a tutti, né a vincere premi prestigiosi. Ma ha saputo, con la sua immediatezza e la sua leggerezza, offrire un momento di svago, di risata, di evasione a milioni di persone.

Alvaro Vitali, con il suo naso borbonico, gli occhi strabici e la sua inconfondibile fisicità, è stato un pilastro di un’epoca del cinema italiano. I suoi personaggi, spesso maldestri e sfortunati, hanno incarnato un’ironia bonaria e autoironica che ha saputo parlare al cuore del pubblico. La sua popolarità in Italia non era banale, ma profonda, radicata nell’identificazione e nell’affetto che gli spettatori provavano per lui. Era un eroe popolare, un antieroe che rendeva la quotidianità più leggera, che esorcizzava le frustrazioni con una risata liberatoria.

Dimenticare il suo contributo al cinema italiano, o ridurlo a una sterile descrizione di difetti fisici e presunte “regressioni”, significa perdere di vista la ricchezza e la varietà del panorama cinematografico italiano. Alvaro Vitali merita di essere ricordato per ciò che è stato: un attore comico di grande talento, un volto iconico che ha segnato un’epoca e che, ancora oggi, suscita un sorriso e un ricordo affettuoso in chi ha avuto il piacere di vederlo sul grande schermo. La sua “banalità”, per molti, era semplicemente la sua capacità di essere autenticamente popolare, e questo è un valore che nessuna critica acida potrà mai cancellare.

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