
Un penitenziario trasformato in hub di comunicazioni illegali. All’interno, microtelefoni e cocaina; all’esterno, un’intera rete di contatti, denaro e silenzi. È quanto emerge dalla maxi operazione avviata all’alba di oggi all’interno del carcere La Dogaia di Prato, con oltre 300 forze dell’ordine in azione. Un’inchiesta che coinvolge anche quattro agenti della polizia penitenziaria, sospettati di aver agevolato l’ingresso di dispositivi e sostanze in cambio di denaro.
Il carcere toscano è da mesi sotto la lente della Procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, per una capillare attività investigativa avviata nel luglio 2024. Sotto accusa sono finite le modalità di controllo dei detenuti, le infiltrazioni corruttive e le falle strutturali e organizzative dell’istituto. I numeri parlano chiaro: 127 detenuti perquisiti, di cui 27 formalmente indagati. Tutto il reparto di Alta Sicurezza è stato passato al setaccio, con particolare attenzione a 14 detenuti, molti dei quali affiliati a cosche mafiose o coinvolti in traffico di droga.
Privilegi, telefoni e libertà di movimento per boss mafiosi
Dalle indagini emerge un quadro inquietante: boss della criminalità organizzata con libertà di movimento nei reparti, schede telefoniche intestate a soggetti fittizi, attivate a Roma e Napoli, smartphone di ultima generazione e dispositivi nascosti nei punti più impensabili della struttura.

I telefoni venivano nascosti in pentole modificate, doppi fondi di frigoriferi, sanitari del bagno e addirittura cavità anali. Alcuni dispositivi venivano consegnati durante i colloqui, altri lanciati dentro palloni da calcio da complici esterni provenienti da Napoli. In carcere, i detenuti potevano così gestire contatti esterni, traffici e comunicazioni, rendendo la struttura una finta prigione dove il confine tra dentro e fuori risultava labile.
Tre agenti, tra i 29 e i 32 anni, sono sospettati di corruzione, mentre altri tre – uno di Caserta, uno di Belvedere Marittimo e uno di Napoli – sono accusati di rifiuto di atti d’ufficio e lesioni colpose per non aver vigilato durante l’aggressione con olio bollente ai danni di Vasile Frumuzache, reo confesso dell’omicidio di due escort.
Inchiesta estesa a sette province, sequestri e carenze strutturali
L’indagine ha portato anche a dieci perquisizioni domiciliari in sette province, tra cui Napoli, Roma, Arezzo, Firenze e Pistoia, oltre a Prato. La mobilitazione ha coinvolto 263 agenti all’interno del carcere e 60 unità esterne per gestire eventuali sommosse, vista la presenza di 596 detenuti.
Dal luglio 2024 sono stati sequestrati 34 telefoni cellulari e due SIM card, con un picco l’11 gennaio 2025, quando furono rinvenuti 10 smartphone in un solo giorno. Recuperati anche pacchetti di cocaina e hashish, introdotti con ingegnosi sistemi di occultamento nei vestiti dei parenti durante i colloqui. Individuata anche una centrale di smistamento nella stessa Prato, accessibile a detenuti autorizzati a uscire temporaneamente.
Tescaroli: “Sistema carcerario al collasso”
Il quadro tratteggiato dal procuratore Tescaroli è drammatico. Il carcere pratese soffre di una carente sicurezza passiva, insufficienze di personale nei ruoli chiave (con mancanze del 47% tra gli ispettori e del 56,5% tra i sovraintendenti), assenza di direzione stabile, alta presenza di detenuti con malattie mentali, suicidi e nessuna reale possibilità rieducativa.
“La struttura – afferma Tescaroli – mostra un massiccio tasso di illegalità e condizioni incompatibili con la funzione costituzionale della pena: prevenzione speciale, rieducazione e dignità del detenuto risultano inesistenti”. Un dossier che suona come un atto d’accusa durissimo non solo verso i singoli agenti corrotti, ma verso l’intero sistema penitenziario italiano.