
C’è un virus che da anni si aggira per i corridoi del Parlamento. Non è batterico, ma ha effetti visibili: il venerdì a Montecitorio provoca svuotamento d’aula, cali di pressione politica, assenze misteriose di ministri e deputati. Ora, il ministro per i Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani, ha deciso di prenderlo sul serio. La sua diagnosi? Tagliare direttamente il problema alla radice.
Durante la riunione dei capigruppo ha lanciato l’idea, con la sobrietà di chi scarta un Bacio Perugina: e se cancellassimo le interpellanze del venerdì? Quelle sedute stanche, piene di domande a cui il governo risponde svogliatamente, quando risponde. L’idea ha iniziato a circolare con discrezione, ma in poche ore è diventata la notizia più sussurrata della settimana.
Interpellare stanca (soprattutto il governo)
A voler essere pignoli, non si tratta nemmeno di un’abolizione. Ciriani avrebbe semplicemente proposto di spostare tutto al giovedì pomeriggio, visto che il venerdì — parole sue, riferite da più presenti — “è difficile garantire la presenza dei ministri e dei sottosegretari”. Il che, a ben vedere, è una confessione più che una giustificazione: governare è faticoso, soprattutto dopo il giovedì.
L’opposizione, per una volta, si è divertita. Perché la proposta, detta da chi siede nei banchi della maggioranza, ha il retrogusto dolciastro di una rivincita simbolica: anni e anni a bocciare la settimana corta per i comuni mortali, ed ecco che salta fuori per i parlamentari. In nome della produttività, s’intende.
Aula vuota, sedute spente e vecchi fantasmi
A onor del vero, il problema non nasce con Ciriani. Le interpellanze del venerdì sono da tempo la versione istituzionale dell’eco nella cattedrale: poche voci, rimbalzi retorici, e il nulla attorno. L’immagine è sempre la stessa: uno o due sottosegretari, qualche deputato con la cravatta allentata, e i cronisti a interrogarsi sull’utilità del loro stesso mestiere.
Il Senato, più svelto o più disilluso, ha chiuso da anni con l’ipocrisia: si lavora fino a giovedì e poi tutti a casa. Ma alla Camera le cose cambiarono nel 2008, quando Gianfranco Fini decise che i parlamentari dovevano guadagnarsi il pane almeno fino al venerdì. Lì nacque questa liturgia terminale chiamata “interpellanze”.
Fontana frena, Battilocchio sospende
A chi sperava in una decisione rapida, il Parlamento ha risposto come sempre: “Ne riparleremo”. Lo ha detto anche il presidente della Camera Lorenzo Fontana, che ha rimandato ogni valutazione a dopo l’estate. Forse settembre, forse ottobre, forse mai.
Anche Forza Italia non si è sbilanciata. Il delegato d’aula Alessandro Battilocchio ha confermato che la proposta è stata messa sul tavolo, ma “nessuno dei gruppi si è espresso”. Troppa fretta, troppa luce. Meglio aspettare le ferie e riparlarne con calma. D’altronde, l’autunno è la stagione giusta per i tagli.