
Un clima teso, un cielo che sembra trattenere il fiato sopra una terra percorsa da vecchie ferite mai del tutto rimarginate. Lungo i viali di città abituate al rumore della politica, delle proteste e delle marce, si torna a respirare un’aria che sa di passato. Un passato non troppo lontano, ma abbastanza recente da rimanere vivo nella memoria collettiva di un intero continente. Quello dei Balcani, cuore pulsante e fragile dell’Europa orientale, torna ad agitarsi.
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Non servono molte scintille quando il terreno è già secco. E ora, in quella regione da sempre sospesa tra Est e Ovest, è tornato a farsi sentire l’eco dei grandi giochi di potere. In piazza, nelle strade, ma anche nelle sale ovattate delle diplomazie internazionali, la tensione cresce. E mentre migliaia di cittadini manifestano, altrove si ascolta, si osserva e, soprattutto, si manda un messaggio.
Le parole di Mosca e la reazione di Belgrado
A parlare è il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, che ha lanciato un messaggio chiaro all’Occidente: “Ci auguriamo vivamente che i Paesi occidentali non si impegnino in rivoluzioni colorate in Serbia”, ha dichiarato. Un avvertimento pesante, diffuso dall’agenzia di stampa russa Tass, che segna un segnale d’allarme geopolitico. Lavrov ha ricordato come la Serbia abbia già vissuto in passato situazioni simili, dichiarando l’interesse di Mosca affinché “i disordini si plachino nel rispetto della costituzione e delle leggi dello Stato amico”.
Lavrov ha anche sottolineato la necessità del rispetto della legalità da parte dei manifestanti e ha riconosciuto l’apertura al dialogo da parte della leadership serba. “Il dialogo è la via per risolvere qualsiasi questione”, ha concluso. Le sue parole suonano come un segnale inequivocabile: la Russia osserva con attenzione quanto accade a Belgrado e non resterà indifferente di fronte a quella che considera una possibile minaccia all’equilibrio regionale.

La protesta che incendia le piazze serbe
Intanto, nel Paese, le proteste non si fermano. Migliaia di persone hanno bloccato le strade in diverse città, tra cui la capitale Belgrado, per chiedere la liberazione dei manifestanti antigovernativi arrestati durante i recenti scontri con la polizia. I blocchi stradali sono iniziati domenica, in seguito a una grande manifestazione organizzata il giorno prima per chiedere elezioni anticipate.
I manifestanti accusano il governo di incitamento alla violenza e lo definiscono illegittimo. Secondo la polizia, si contano 48 agenti feriti e 77 arresti, con 38 persone ancora in custodia. La rabbia è montata dopo mesi di proteste iniziate a seguito di un crollo infrastrutturale mortale, evento che ha innescato una mobilitazione sempre più ampia.
Le accuse a Vucic e la sfida interna
Il presidente Aleksandar Vucic ha condannato i disordini, accusando i manifestanti di voler destabilizzare lo Stato. Ma le critiche nei suoi confronti si fanno sempre più forti: l’opposizione e una parte dell’opinione pubblica lo accusano apertamente di autoritarismo e corruzione. Le piazze, da settimane, ribollono di malcontento e chiedono un cambio di rotta netto e immediato.
La protesta assume connotati sempre più ampi e pericolosi. Se da un lato la leadership serba cerca di mostrare fermezza, dall’altro le strade raccontano di un Paese diviso, in cerca di risposte. Un equilibrio instabile che rischia di infrangersi da un momento all’altro, sotto la spinta di tensioni interne e influenze esterne.

Un nuovo fronte di instabilità diplomatica?
Con l’ingresso della Russia nel dibattito, la questione serba diventa ufficialmente un nuovo terreno di scontro tra potenze. La preoccupazione per un possibile fronte di instabilità diplomatica in Europa si fa concreta. La Serbia è da tempo un nodo cruciale nella rete dei rapporti geopolitici tra Est e Ovest. Qualsiasi evoluzione rischia di avere conseguenze ben oltre i propri confini.
Ora il Paese è al bivio. Le proteste popolari da un lato, l’appoggio russo alla leadership attuale dall’altro, e sullo sfondo l’ombra di un Occidente accusato di voler influenzare gli equilibri interni. In questo scenario, ogni parola pesa, ogni gesto può cambiare il corso degli eventi. E la bomba-Balcani, ancora una volta, minaccia di esplodere.