
Un Mondiale fermato dai fulmini: lo scenario oggi è ancora remoto, ma la preoccupazione cresce. In queste settimane, il calcio internazionale sta facendo i conti con una serie di sospensioni clamorose dovute al maltempo. Sei partite fermate per rischio tempesta: un numero che, in un torneo come la Coppa del Mondo, farebbe saltare equilibri, calendari e preparazioni. Per ora, nessuna partita del prossimo Mondiale è stata direttamente coinvolta. Ma il dibattito si accende: si può davvero disputare un evento di tale portata in un Paese così esposto a fenomeni estremi?
Nessun rischio concreto al momento per i Mondiali del 2026, confermati negli Stati Uniti. Ma una parte del mondo del calcio — tecnici, dirigenti, operatori — inizia a chiedere riflessioni preventive, anche clamorose come lo spostamento di alcune partite in aree più stabili. Una mossa estrema, e per ora puramente ipotetica, ma che segnala il livello di tensione: serve una soluzione prima del via, perché durante il torneo non si potrà improvvisare.

A riaccendere le polemiche è stato il match tra Benfica e Chelsea, finito 1-4 ma passato alla storia per i 278 minuti totali di durata. Due ore di sospensione per rischio fulmini, mentre in cielo splendeva il sole e compariva persino un arcobaleno. Tutti evacuati per protocollo, stadio svuotato, giocatori in attesa. Alla ripresa, il Benfica ha sfiorato una rimonta impossibile. Il tecnico dei Blues, Enzo Maresca, ha parlato senza mezzi termini: “Non è calcio. Questo non è il posto giusto per una competizione così importante”.
In effetti, come ha dichiarato il National Weather Service statunitense, questi fenomeni sono tutt’altro che eccezionali. “È tipico di questa zona del Paese”, ha detto Ben Schott a The Athletic. Se nel 2026 accadesse in pieno Mondiale, sarebbe un caos senza precedenti. Per ora, delle sei partite interrotte, solo una si è giocata in uno stadio ufficiale della Coppa del Mondo (East Rutherford, vicino a New York). Ma il segnale è chiaro: non è un’ipotesi da escludere.
“La sicurezza prima di tutto”, ha detto Arsène Wenger, oggi responsabile dello sviluppo tecnico della FIFA. Una dichiarazione doverosa, ma che non tranquillizza del tutto chi teme uno scenario surreale: interruzioni a catena durante il torneo più seguito al mondo. “In Europa una partita non si ferma mai”, ha ribadito Maresca. “Qui invece può succedere che si resti chiusi due ore negli spogliatoi senza sapere se si tornerà in campo”.

Dietro tutto questo, c’è un protocollo rigidissimo: basta un fulmine a meno di dieci chilometri per bloccare il match per almeno trenta minuti. Se ne arriva un altro, il cronometro si azzera. Le statistiche americane parlano chiaro: oltre 30 morti ogni anno per fulmini, più di cento feriti gravi. Le regole sono chiare, e difficilmente modificabili. Ma il calcio europeo — abituato ad altri standard — fatica a digerirle.
Trent’anni fa, durante USA ’94, nulla di simile era accaduto. Ma il cambiamento climatico ha cambiato anche il calcio. Le estati americane sono oggi più estreme, con picchi di umidità, caldo e instabilità. La Florida e il North Carolina, dove si sono verificati diversi stop, non ospiteranno gare nel 2026, ma il tema resta aperto. Serve un piano meteo strutturato, non solo protocolli d’emergenza.
Per ora, la FIFA tiene il punto: il Mondiale si giocherà come previsto. Ma la pressione cresce. Nessuno vuole rivivere un Mondiale a intermittenza, tra fughe negli spogliatoi e ore d’attesa. E se il cielo farà ancora paura, qualcuno potrebbe chiedere soluzioni drastiche. Anche prima del calcio d’inizio.