
La sabbia del Fezzan non è più solo polvere. Da mesi è diventata logistica, trasporto, strategia. Le piste abbandonate riemergono, le basi si allungano, i radar si accendono. Dove prima c’erano depositi semi-dimenticati del regime di Gheddafi, ora atterrano gli Antonov russi, sfilano i lancia-missili Tor‑M2 in parata a Bengasi e si riattivano installazioni in grado di ospitare missili a medio raggio.
Non è più una presenza ombra. È un’infrastruttura militare. Mosca ha trovato nella Libia del generale Haftar il suo nuovo sbocco strategico nel cuore del Mediterraneo: e mentre l’Occidente guarda a Gaza, al Libano e a Kiev, il Cremlino avanza su un fronte scoperto, sotto gli occhi di tutti.
Cargo da guerra e missili nel deserto
L’ultimo segnale tangibile è arrivato il 26 maggio 2025, a Bengasi. In una parata dell’Esercito nazionale libico (LNA), agli ordini del generale Haftar, hanno sfilato Tor-M2: tra i più moderni sistemi di difesa aerea russi. Un salto tecnologico che ha immediatamente attirato l’attenzione di analisti e servizi occidentali: quei mezzi, mai apparsi prima in Libia, rappresentano una violazione evidente dell’embargo ONU sulle armi in vigore dal 2011.

Ma il dato più allarmante non è solo la loro presenza. È la logistica che li ha portati lì. Solo una settimana prima, un Antonov An‑124, l’aereo cargo più grande del mondo, era atterrato ad al‑Khadim, base aerea a est di Bengasi. La pista era stata allungata nei mesi scorsi per accogliere proprio mezzi di quel tipo. Il carico è stato scaricato, e poche ore dopo l’aereo è ripartito. Destinazione: il Sahel. Le armi arrivate in Libia proseguono verso il Mali, il Burkina Faso, il Niger. La Libia è diventata il ponte tra Russia e Africa.
Le basi russe e il piano per i missili a lungo raggio
Cinque sono i punti strategici già attivi. Le basi di al-Khadim, al-Jufra e Brak al-Shatti sono ormai pienamente integrate nella catena logistica russa. In ciascuna di esse è documentata la presenza di militari russi regolari, con supporto di ex mercenari Wagner e truppe siriane fedeli a Mosca. Nel sud, a Sabha, è in corso un ampliamento dell’aeroporto militare. Ed è lì, secondo fonti di intelligence rilanciate da Agenzia Nova, che Mosca vorrebbe installare missili a medio o lungo raggio, in grado di colpire anche obiettivi in Europa meridionale, Italia inclusa.
Il progetto – che sarebbe supportato anche dalla Bielorussia – è definito “in fase avanzata” da fonti riservate. Non ci sono conferme ufficiali. Ma ci sono i segnali. L’ampliamento della base. Il posizionamento di difese aeree. E la geografia: da Sabha a Lampedusa ci sono poco più di mille chilometri. Uno scenario che preoccupa direttamente Roma.
Italia e NATO: allarme rosso ma reazione incerta
Lo ha detto apertamente il ministro della Difesa Guido Crosetto: “Le navi e i sottomarini russi nel Mediterraneo sono sempre una preoccupazione. Se invece di stare a 1.000 km sono a due passi da noi, lo sono ancora di più”. Era dicembre 2024. Da allora, la presenza militare russa in Libia non si è ridotta. Si è estesa.
Secondo le intelligence occidentali, la Russia punta ad ottenere da Haftar una base navale a Tobruk, un porto in acque profonde vicinissimo alle coste egiziane. Se Mosca ottenesse l’autorizzazione a ormeggiare lì le sue fregate o – peggio – sottomarini con missili Kalibr, il Mediterraneo centrale diventerebbe un nuovo fronte della deterrenza nucleare.
Non è solo una questione militare. È anche una questione ibrida. Perché il vero rischio, come avvertono fonti italiane ed europee, è che Mosca usi la Libia per controllare le rotte migratorie illegali verso l’Europa. E usi quei flussi come leva politica o arma di destabilizzazione.
Dalla Siria al Fezzan: l’intero arsenale russo
Il trasferimento non è improvvisato. È sistemico. Dopo aver ridotto la sua presenza in Siria, Mosca ha cominciato a spostare sistemi d’arma in Libia: alcuni S-300 o addirittura S-400 potrebbero essere stati dislocati tra al-Jufra e Ras Lanuf. A oggi, non esiste una conferma fotografica o diplomatica, ma gli avvistamenti radar e cargo parlano chiaro. La presenza di sistemi missilistici avanzati in Cirenaica è più che una possibilità.
A tutto questo si aggiunge la catena logistica: cargo russi partono da Latakia, in Siria, atterrano a Bengasi, al-Khadim o Jufra, scaricano uomini e mezzi, poi ripartono verso il sud. Il ponte aereo Russia–Libia–Africa è ormai consolidato. E viene rafforzato da navi cargo che sbarcano armi nei porti libici – ufficialmente aiuti umanitari, nella pratica rifornimenti militari.
Il ruolo di Haftar: un alleato tattico per Putin
Nulla di tutto questo sarebbe possibile senza Khalifa Haftar. Il generale della Cirenaica, che non riconosce il governo di Tripoli, ha costruito in questi anni una relazione strategica con Mosca. Già nel 2017 era salito a bordo della portaerei russa Admiral Kuznetsov. Oggi tratta direttamente con il viceministro della Difesa russo. E secondo fonti diplomatiche avrebbe offerto basi militari in cambio di sostegno alla successione familiare del suo potere, a favore del figlio Saddam.
Haftar tratta anche con la Turchia e con gli Stati Uniti. Ma finora è alla Russia che ha concesso presenza, basi, spazio politico. E la Russia ha ricambiato con armi, addestramento, droni, missili. Il tutto violando sistematicamente l’embargo ONU, e senza che nessuno – davvero – lo impedisca.
Una nuova linea rossa nel Mediterraneo
Il Cremlino ha trasformato la Libia nel nuovo fronte sud della sua strategia globale. Dopo l’Ucraina, dopo la Siria, ora tocca al Mediterraneo centrale. E l’Italia – prima linea geografica e strategica – è direttamente coinvolta.
Le conseguenze non sono teoriche. Sono concrete. La difesa aerea italiana dovrà adattarsi, il controllo del Mediterraneo sarà conteso, il rapporto con Tripoli e con Il Cairo ridefinito. E l’Europa, se vorrà contare qualcosa, dovrà uscire dal sonno strategico. Perché nel deserto libico, il tempo della neutralità è già finito. E l’ombra dei missili sul Fezzan è anche l’ombra su Roma.