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Esplosione su petroliera nel Mediterraneo: squarciata in due

Pubblicato: 01/07/2025 15:39

A bordo della “Vilamoura”, una petroliera di 274 metri, è esploso qualcosa che ha squarciato due ponti e lo scafo, allagando la sala motori e lasciando la nave alla deriva nel Mediterraneo, a largo della Cirenaica libica. È il quinto episodio sospetto dall’inizio dell’anno, un inquietante filo rosso che lega incidenti navali, traffico illecito di greggio e tensioni geopolitiche internazionali.

Ufficialmente, la Vilamoura, battente bandiera delle Isole Marshall, trasportava un milione di barili di greggio imbarcati a Zuetina, terminal libico. Nessuna fuoriuscita in mare è stata finora segnalata. Ma, come le altre navi colpite, anche la Vilamoura aveva recentemente caricato petrolio nei porti russi di Ust-Luga e Novorossiysk. Secondo l’intelligence ucraina, queste operazioni maschererebbero il traffico illecito di petrolio russo o kazako che, tramite triangolazioni, aggira le sanzioni occidentali e sostiene l’economia di guerra di Mosca.

La “flotta ombra” nel mirino

La compagnia TMS Tanker – armatrice della Vilamoura – era finita nel 2022 nella lista nera di Kiev, sospettata di contribuire alla “flotta ombra” che trasporta petrolio russo camuffato. L’anno seguente il nome fu rimosso dopo pressioni diplomatiche, anche dall’Unione Europea. Ma la SBU, i servizi ucraini, nel diffondere la notizia dell’attacco, hanno definito la Vilamoura “parte della flotta ombra”, lasciando intendere un coinvolgimento nelle rotte del contrabbando.

Se nei precedenti episodi si era ipotizzato l’uso di mine magnetiche piazzate da sommozzatori, nel caso della Vilamoura l’esplosione sembra avvenuta dall’interno, elemento che alimenta un’altra ipotesi: lo scontro tra fazioni libiche per il controllo del traffico petrolifero. In Libia, dove la frammentazione istituzionale è ancora altissima, attentati mirati e sabotaggi non sono una novità.

Una scia di sabotaggi

Il primo caso noto risale al 17 gennaio, quando la “Seacharme”, vicino al terminal turco di Ceyhan, fu colpita da una detonazione. Poi la “Grace Ferrum” (febbraio), la “Koala” (Ust-Luga, 9 febbraio), e soprattutto la “Seajewel” (Savona, 17 febbraio), danneggiata da due mine magnetiche, una delle quali esplosa sul fondale. A bordo, 50 mila tonnellate di greggio. Su quest’ultimo caso, la DDA di Genova ha aperto un’inchiesta per terrorismo.

Sebbene il capitano della Seajewel abbia dichiarato che il carico proveniva dall’Algeria, le analisi del greggio hanno lasciato dubbi. Il sospetto è che si trattasse di una triangolazione mascherata, finalizzata a camuffare il vero export dalla Russia. Anche la Thenamaris, compagnia armatrice greca della Seajewel, era stata inserita – e poi rimossa – nella black list di Kiev.

Ucraina, sospetti e “false flag”

Secondo un report della Ambey, società di sicurezza marittima, gli attacchi sarebbero opera di “un attore statale”. Mai ufficialmente confermato, ma l’ipotesi ufficiosa è che Kiev stia colpendo le navi coinvolte nel traffico di petrolio russo, proseguendo sul mare una guerra invisibile e strategica. Tuttavia, alcune fonti – citate da Lloyd’s List – parlano di pressioni statunitensi per indurre l’intelligence ucraina a fermare le operazioni, con il rischio di escalation o disastri ambientali.

Non manca neppure chi suggerisce che questi attacchi siano false flag, operazioni sotto falsa identità per screditare l’Ucraina. L’unico dato certo è la ripetitività dei bersagli, la tracciabilità delle rotte e la natura strategica dei carichi.

Un rischio ambientale reale

Con centinaia di migliaia di tonnellate di greggio trasportate ogni giorno, ogni sabotaggio può trasformarsi in catastrofe ecologica. Finora nessuna nave colpita ha causato fuoriuscite significative, ma la Vilamoura – con la sua falla interna – dimostra che l’equilibrio è sempre più fragile.

Il Mediterraneo rischia di trasformarsi in una zona grigia dove si incrociano spionaggio, sabotaggi e traffici illeciti. E mentre i governi tacciono, le petroliere continuano a navigare in acque sempre più pericolose.

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