
Un giovane di 24 anni, di origini marocchine e già residente a Modena, è stato individuato e perquisito in provincia di Bergamo nell’ambito di un’indagine per istigazione a delinquere mediante strumenti informatici, connessa alla diffusione di propaganda jihadista tramite il social network Facebook. A condurre l’operazione è stata la Digos, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, a seguito di una complessa attività investigativa coordinata dal sostituto procuratore Elisabetta Dambruoso.
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Propaganda e radicalizzazione sui social
Sul profilo Facebook del giovane, seguito da circa 5mila follower, sono stati individuati numerosi contenuti di matrice jihadista, tra cui reel, canti e video che esaltano le gesta di mujaheddin dello Stato Islamico e celebrano attacchi suicidi. I contenuti pubblicati rientrano, secondo gli investigatori, in un chiaro processo di auto-radicalizzazione e auto-addestramento a sfondo religioso e ideologico.
Il 9 dicembre 2023, uno dei post più emblematici mostrava l’immagine di una tastiera di computer con sovrapposte l’effige dello Stato Islamico e una copia del Corano. Il messaggio, scritto in arabo, conteneva frasi critiche verso l’Occidente, descritto come “corrotto e ipocrita”, in contrapposizione al “mondo islamico puro”. Il tenore di questi contenuti ha allertato gli investigatori, che hanno deciso di avviare un monitoraggio approfondito dell’attività online del giovane.

Oltre 300 reel, più di 60 a contenuto jihadista
L’analisi condotta sul profilo social ha rilevato la pubblicazione di oltre 300 reel, di cui più di 60 contenenti nasheed (canti religiosi islamici) già noti per essere circolati su piattaforme dello Stato Islamico. Questi materiali hanno, secondo le autorità, una connotazione jihadista, e il loro rilancio su un profilo aperto al pubblico ne accentua la pericolosità in termini di istigazione alla violenza.
Uno dei video più gravi è stato pubblicato il 10 febbraio 2024: nel reel compariva un uomo che cantava un nasheed dal titolo “Il nostro Stato è vittorioso”, contenente versi come:
“Il nostro stato è vittorioso. Saluti a Baghdad e i suoi eroi sono leoni, cavalieri del martirio. L’anima è in Yusufiyah. Il sangue del miscredente viene versato.”
L’immagine di accompagnamento ritraeva Abu Osama Al Tunisi, noto combattente dello Stato Islamico, morto in Siria il 25 luglio 2017, figura celebrata nella propaganda estremista.
Strategie per sfuggire ai controlli
Nel tempo, il giovane aveva adottato diverse misure per eludere il monitoraggio: tra queste, restrizioni della privacy sui social, con l’obiettivo di impedire la visualizzazione dei contenuti ai non seguaci. Secondo gli investigatori, tale comportamento evidenzia un’evoluzione nel percorso di radicalizzazione, verso una possibile partecipazione attiva al jihad globale.
Le attività d’indagine, durate diversi mesi, sono state ostacolate dai ripetuti spostamenti del giovane sul territorio italiano, effettuati senza lasciare traccia. Soltanto di recente gli investigatori sono riusciti a rintracciarlo in una località della provincia di Bergamo, dove è stata eseguita una perquisizione domiciliare e informatica, che ha portato anche al sequestro del dispositivo telefonico utilizzato per la gestione dei contenuti pubblicati.

Indagini ancora in corso
La perquisizione è avvenuta nell’ambito di un procedimento penale per istigazione a delinquere commessa tramite strumenti telematici, reato che rientra nelle fattispecie di contrasto alla propaganda terroristica. Le autorità stanno ora procedendo all’analisi forense del materiale sequestrato, per verificare eventuali contatti con altri soggetti radicalizzati, sia sul territorio nazionale che all’estero.
L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Bologna, si inserisce nel più ampio contesto di contrasto alla minaccia jihadista online, fenomeno che sfrutta sempre più frequentemente canali social per veicolare messaggi estremisti e per reclutare nuovi adepti. In questo caso, il processo di auto-radicalizzazione risulta chiaramente documentato attraverso il profilo digitale dell’indagato, che sembra aver fatto del suo spazio online una vera e propria vetrina di propaganda terroristica.
Il ruolo della prevenzione digitale
Il caso evidenzia ancora una volta la centralità del monitoraggio delle piattaforme digitali nel prevenire fenomeni di radicalizzazione violenta. Le autorità sottolineano l’importanza di denunciare tempestivamente la presenza di contenuti sospetti sui social network, soprattutto in presenza di segnali che possano suggerire apologie di terrorismo o incitamenti all’odio religioso.
Le indagini proseguono per determinare se il giovane abbia agito isolatamente o se sia parte di una rete più ampia, anche in considerazione del linguaggio criptato utilizzato in alcune pubblicazioni e dei frequenti riferimenti a personalità del jihadismo internazionale.