
Era una sera d’inverno, il 21 febbraio 2008, quando lungo l’autostrada del Brennero, nei pressi di Chiusa, un automobilista notò qualcosa ai margini dell’asfalto: un grosso cartone abbandonato in modo innaturale. Dentro, il corpo di un giovane uomo, senza testa. Nessun documento, nessuna identità. Solo un corpo che raccontava la violenza del suo destino.
Per anni il caso rimase sepolto nei faldoni della Procura di Bolzano, senza volto né nome. Poi, nel 2025, dal carcere tedesco di Ellwangen, un uomo già condannato all’ergastolo per altri due omicidi chiede di parlare. Si chiama Alfonso Porpora. È lui a raccontare di quel delitto.

Un suocero violento, una confessione dal carcere
Mustafa Sahin aveva solo vent’anni quando sparì. Era cresciuto in Germania, aveva sposato la figlia di Porpora – anche se l’uomo non aveva mai accettato davvero quella relazione. Aveva imposto quel matrimonio dopo una gravidanza imprevista, ma lo disprezzava. Non bastò l’arrivo di due nipoti a placare l’odio. Anzi.
Nel 2008, racconta Porpora, lo fece salire in garage a Sontheim an der Brenz, un villaggio tranquillo nel Baden-Württemberg. Lì lo strangolò. Poi caricò il cadavere in auto e guidò fino in Italia. Lo abbandonò lungo l’autostrada, chiuso in un cartone. Ma la testa no. Quella, per anni, nessuno l’avrebbe più trovata.

La testa nascosta sotto il cemento
La svolta arriva per caso. Il nuovo proprietario della casa in cui viveva Porpora decide di sistemare il giardino. Smuove alcune lastre di cemento, scava, e trova un cranio umano. La notizia arriva alla polizia tedesca. Si pensa subito a Mustafa. Ma serve la prova.
Saranno le mani, i vestiti, e infine il DNA dei figli a confermare: il corpo ritrovato nel 2008 era proprio il suo. Dopo diciassette anni, il cold case si chiude. Ma ciò che emerge è ancora più sconvolgente: Mustafa non era stato l’unico.
Tre omicidi, tutti legati alla figlia
Nel 2014, Porpora uccide un altro uomo: anche lui fidanzato della figlia. Si chiamava Marco. Fu portato in garage con la scusa di un chiarimento. Porpora non era solo. Lo accompagnavano i suoi due figli. Marco fu strangolato, poi chiuso in un congelatore. Il giorno dopo venne smembrato con una motosega. I resti furono trasportati in Sicilia, nascosti in un bosco nei pressi di Enna, il paese d’origine della famiglia.
Nel 2018, un terzo delitto. Questa volta la vittima è il proprietario di un garage affittato da Porpora. L’uomo viene legato, picchiato e costretto a firmare documenti. Poi ucciso. Anche in questo caso, i figli partecipano. Il padre viene condannato all’ergastolo. I figli a 9 e 15 anni.
Un predatore in famiglia
I tre omicidi compongono un disegno agghiacciante: un uomo che elimina i compagni della figlia uno dopo l’altro, in un’ossessione morbosa e cieca. Le modalità sono ricorrenti: strangolamento, occultamento, mutilazione. Ogni delitto nasce da una relazione familiare malata, un misto di possesso e punizione, come se Porpora volesse punire chiunque si avvicinasse troppo al suo nucleo.
Il dettaglio più inquietante è proprio la quotidianità del male: tutto avviene nella casa di famiglia, nel garage. Un angolo apparentemente tranquillo della Germania meridionale, dove il killer viveva da anni come un immigrato integrato, marito e padre. Dietro quella facciata, però, c’era un serial killer familiare.
Le ultime indagini e la chiusura del caso
Grazie alla collaborazione tra autorità tedesche e italiane, e alla confessione resa nel carcere di Ellwangen, la Procura di Bolzano ha potuto identificare con certezza il corpo ritrovato nel 2008. La figlia ha riconosciuto i vestiti e i dettagli delle mani. I figli di Mustafa hanno fornito il materiale genetico per l’identificazione. Il cranio rinvenuto sotto il cemento è in fase di analisi forense, ma ogni indizio conferma che appartiene alla prima vittima.
L’Italia, al momento, non ha emesso nuovi mandati contro Porpora, già condannato all’ergastolo in Germania. Ma resta l’immagine di un caso che per diciassette anni ha parlato nel silenzio di un cadavere decapitato, fino a quando la terra stessa non ha deciso di restituire il volto nascosto.