
Scendere in apnea nei fondali italiani oggi è un’esperienza che lascia il fiato sospeso per motivi ben diversi dalla bellezza. A quaranta metri di profondità, dove una volta la temperatura dell’acqua lambiva il gelo, ora si trovano ancora oltre venti gradi. Attorno, le grandi gorgonie – coralli maestosi dalle forme fluide e antiche – stanno morendo. La sofferenza del Mediterraneo non è più invisibile, e chi lo esplora lo vede riflesso in ogni dettaglio: nei colori sbiaditi, nei corpi molli dei pesci mutati dalla temperatura, nei silenzi che sanno di perdita.
Leggi anche: Caldo fatale, muore mentre torna dalla spiaggia: vacanza tragica
Più in superficie, la trasformazione è ancora più evidente. Le specie aliene proliferano, sostituendo progressivamente quelle autoctone. La Caulerpa cylindracea, un’alga invasiva, modifica la consistenza della carne dei saraghi, rendendola simile alla gomma. Il pesce scorpione, il pesce coniglio, il pesce pappagallo sono ormai presenze abituali nei nostri mari. Intanto la mucillagine, quella sostanza gelatinosa sospesa tra fondo e superficie, si allarga sempre più, trasformando l’esperienza del bagno in un contatto diretto con un ecosistema in crisi.
Il Mediterraneo è sempre più caldo
Secondo il nuovo rapporto “Mare caldo” di Greenpeace, realizzato in collaborazione con l’Università di Genova e l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale, le acque del mare italiano stanno attraversando un cambiamento profondo. La temperatura è in costante aumento in tutte le Aree marine protette analizzate: da Tavolara a Ventotene, da Capo Milazzo a Portofino. In alcuni punti si sono registrati incrementi di oltre tre gradi rispetto alla media storica.
Alle Cinque Terre, l’aumento ha raggiunto +3.65°C, a Miramare +3.25°C, alle Tremiti poco oltre i tre gradi. Anche località come Portofino (+3.28°C), Isola d’Elba (+3.21°C), Tavolara (+2.39°C) e Capo Carbonara (+1.49°C) mostrano segnali allarmanti. Siracusa, nell’Amp del Plemmirio, ha registrato 26 gradi oltre i venti metri di profondità e 23 gradi a quaranta metri. Numeri che testimoniano un riscaldamento anomalo, continuo e sempre più profondo.

Ondate di calore e impatti sugli ecosistemi
Il dato forse più preoccupante riguarda la frequenza e l’intensità delle ondate di calore marine. All’Asinara, in Sardegna, sono state ben 14 quelle registrate nel 2024. Fenomeni che un tempo erano rari ora diventano abituali, senza più distinzione tra stagioni. Monica Montefalcone, docente di Ecologia all’Università di Genova, spiega che gli impatti osservati sono diffusi su tutto il territorio monitorato, indipendentemente da latitudine, posizione geografica o livello di protezione ambientale.
Accanto ai rilevamenti termici, lo studio di Greenpeace ha incluso monitoraggi biologici. I risultati sono drammatici: le gorgonie mostrano necrosi estese, le colonie di Paramuricea clavata di Portofino risultano colpite nel 94% dei casi, e in alcune zone la mucillagine copriva fino all’80% delle colonie. A Tavolara e Ventotene sono stati osservati sbiancamenti severi dei coralli, e in diverse aree protette è aumentata la presenza di pesci termofili, come il barracuda mediterraneo e la donzella pavonina.
Biodiversità a rischio e necessità di interventi
Nell’unica zona monitorata non protetta, ovvero l’Isola d’Elba, è stato rilevato uno stato ecologico scarso, un risultato che sottolinea ancora una volta quanto la protezione delle aree marine sia cruciale per la conservazione della biodiversità. Ma secondo gli esperti, proteggere non basta. Serve una riduzione drastica delle emissioni di gas serra per contrastare efficacemente gli effetti del cambiamento climatico.
Lo scorso anno è stato il più caldo mai registrato per il Mediterraneo, con una temperatura media annuale di 21,16°C. Quest’anno, secondo i dati del servizio satellitare Copernicus, alcune zone hanno già toccato +5°C oltre la media stagionale. L’Agenzia Spaziale Europea ha rilevato nel mar Tirreno punte di oltre 28°C, dati che non solo preoccupano per la salute del mare, ma che potrebbero alimentare in autunno eventi meteo estremi, come alluvioni e uragani mediterranei.
Valentina Di Miccoli, di Greenpeace, avverte che siamo a un punto di svolta: “Se non aumentiamo la superficie di mare protetta e non riduciamo le emissioni, rischiamo di perdere la biodiversità e il nostro straordinario patrimonio naturale”. Le sue parole sono l’eco di una comunità scientifica sempre più unanime nel dichiarare che l’emergenza climatica non è più un problema futuro, ma una crisi già in corso.

Il futuro del mare dipende da noi
I segnali sono chiari. I numeri, i colori, gli organismi che popolano le acque del Mediterraneo parlano una lingua che non si può più ignorare. Il rapporto “Mare caldo” è un grido d’allarme fondato su dati scientifici, ma anche una richiesta collettiva di responsabilità. Perché senza una strategia nazionale e globale, senza un’immediata inversione di rotta sulle politiche ambientali, il rischio è quello di lasciare ai nostri figli un mare irriconoscibile.
Serve agire ora. Perché ogni grado in più, ogni mese di ritardo, ogni politica ambientale insufficiente, rappresentano un passo verso un punto di non ritorno. I fondali parlano. Tocca a noi ascoltarli.