
Un possibile dramma industriale si profila all’orizzonte per l’Italia, e a lanciare l’allarme è Stellantis. In gioco ci sono tre fattori cruciali: il Green Deal europeo, le multe per il mancato raggiungimento delle quote di elettrico e l’elevato costo dell’energia in Italia. A mettere in fila i nodi più urgenti è Jean Philippe Imparato, responsabile europeo del colosso automobilistico, che non usa mezzi termini: se le condizioni non cambieranno entro fine anno, la conseguenza potrebbe essere la chiusura degli stabilimenti.
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Il nodo energia e competitività
Durante gli Stati generali dell’energia organizzati da Forza Italia alla Camera, Imparato ha sottolineato il divario competitivo tra i vari Paesi europei. “In Francia il Megawattora lo pago 65 euro, in Spagna 80, in Italia più di 180. A 180 euro la competitività è ammazzata”, ha detto senza giri di parole. Questo squilibrio nei costi di produzione è una delle spine nel fianco per le case automobilistiche operanti nel nostro Paese.
Ma non è solo l’energia a preoccupare Stellantis. L’obiettivo europeo di vendite elettriche impone soglie difficili da raggiungere, con sanzioni pesanti per chi resta indietro. “Se entro dicembre non cambiano le regole, dovremo prendere decisioni toste, come la chiusura della fabbrica di Atessa, dove si produce il Ducato”, ha dichiarato Imparato, portando alla ribalta una crisi imminente troppo spesso ignorata.

Tre pilastri per salvare l’automotive
Imparato ha indicato con chiarezza i tre elementi indispensabili per salvare il settore auto europeo: abbassamento dei costi energetici, rinnovo del parco circolante e una revisione delle multe sulle quote di auto elettriche. Il quadro che ne emerge è drammatico: “Nel 2019 c’erano 49 modelli sul mercato europeo sotto i 15.000 euro, oggi ne resta solo uno”. In assenza di incentivi per i consumatori e con vincoli di produzione sempre più rigidi, molte aziende rischiano di non reggere il passo.
Imparato ha aggiunto: “Mi chiedono di fare il 20% di vendite elettriche in Europa. Oggi, con i veicoli commerciali, raggiungo un terzo della quota europea con il 10% delle vendite. Per arrivare al 20%, dovrei fare il 60% di quota. Ogni punto che manca mi costa 150 milioni di euro”.
Il nodo occupazionale: tra uscite e cassa integrazione
Le dichiarazioni di Imparato mettono in dubbio l’ottimismo del ministro delle Imprese Adolfo Urso, secondo cui Stellantis sarebbe tornata a investire in Italia. “Il piano industriale prevede il mantenimento di tutti gli stabilimenti, con zero licenziamenti”, aveva detto il ministro, parlando anche di “eventuali uscite volontarie”.

Una narrazione smentita però dai numeri: tra il 2024 e il 2025 sono previste 6.052 uscite volontarie dagli stabilimenti italiani. E la cassa integrazione continua ad aumentare. “Urso ha parlato di crescita, ma la realtà è diversa. Lo stesso giorno in cui dice che va tutto bene, Imparato parla di rischio per lavoratori e fabbriche. In che Paese siamo?”, si chiede il segretario della Fiom-Cgil Michele De Palma.
Nessuna traccia della gigafactory, incognite su Maserati e Alfa
De Palma sottolinea l’assenza di un piano di rilancio concreto da parte di Stellantis. “Non c’è traccia della gigafactory di Termoli, e non sappiamo nulla del futuro sito produttivo. Anche i marchi Maserati e Alfa Romeo attendono una strategia chiara”. Un grido d’allarme rilanciato anche da Samuele Lodi, responsabile automotive della Fiom: “La chiusura degli stabilimenti è impensabile e inaccettabile. La crisi di Stellantis in Italia è grave, dovuta all’assenza di investimenti da parte della multinazionale e alla mancanza di un piano industriale governativo per l’automotive”.
La spinta sull’ibrido e il ruolo del nuovo AD
Una delle poche certezze sembra arrivare dalla nuova linea tracciata dal nuovo amministratore delegato Antonio Filosa, che punta su una maggiore spinta verso l’ibrido, nel tentativo di coniugare transizione ecologica e sostenibilità industriale. Ma da sola, questa strategia rischia di essere insufficiente.
L’industria automobilistica italiana si trova così a un bivio: senza un intervento deciso su costo dell’energia, politiche europee e rinnovo del parco auto, il rischio di un crollo industriale è concreto. Il tempo stringe, e servono azioni coordinate tra governo, aziende e istituzioni europee. Perché senza una vera politica industriale, l’Italia rischia di perdere uno dei suoi settori produttivi più simbolici.