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Acciaio europeo sotto assedio: dazi Usa al 50%, mercato paralizzato e concorrenza asiatica

Pubblicato: 04/07/2025 12:40

A un mese dall’entrata in vigore dei dazi Usa al 50% su acciaio e alluminio, l’industria siderurgica europea è finita in una vera e propria zona grigia. I principali operatori attendono sviluppi, ma nel frattempo la competitività è a rischio e il clima è di totale incertezza.

A denunciarlo è Massimiliano Burelli, amministratore delegato di Cogne Acciai Speciali, gruppo con stabilimenti in Europa, Cina e Stati Uniti, che racconta a Open gli effetti della politica protezionistica rilanciata da Donald Trump.

Le paure degli operatori del settore

“Il mercato è in una posizione di attesa“, spiega Burelli. “Molti clienti americani si sono fermati: il dazio del 50% è impraticabile. E con il voto Usa alle porte, tutto è appeso al 9 luglio, quando scade la tregua commerciale con l’Unione Europea”. In ballo c’è la sopravvivenza stessa di una filiera fondamentale per economia, transizione ecologica e difesa.

Gli Stati Uniti producono appena 80 milioni di tonnellate di acciaio, a fronte dei 130 milioni dell’Europa e del miliardo della Cina. Ma la domanda interna resta alta, e i dazi non l’hanno ridotta: ne hanno solo fatto lievitare i prezzi, spiega l’ad di Cogne.

Il blocco in attesa di sviluppi

“C’è chi continua a comprare, ma la maggior parte dei nostri partner si è bloccata. Nessuno può pianificare con dazi così alti e zero certezze“. Per questo, nel caso in cui Washington confermasse la linea dura, Cogne sta valutando vie alternative: “Potremmo utilizzare lo stabilimento britannico come ponte o cercare mercati Ue alternativi. Ma gli Usa restano importanti: da lì arriva il 10% del nostro fatturato“.

Lo spostamento della produzione sul suolo americano è ipotesi sul tavolo, ma richiederebbe almeno due anni: troppo tempo per chi deve prendere decisioni adesso.

Il timore dell’invasione asiatica e i costi della transizione verde

I dazi potrebbero anche innescare un effetto boomerang sull’Europa: “Più che la Cina, il problema viene da tutta l’Asia: India in primis. Se gli Usa chiudono le porte, l’acciaio asiatico si riverserà da noi, come nel 2018″, avverte Burelli. Da qui l’appello alle istituzioni Ue: “Servono misure anti-dumping, salvaguardie, strumenti rapidi. Il rischio è reale e va affrontato subito”.

Quanto al Green Deal, Cogne si dice pronta: “Compriamo solo energia verde nei nostri stabilimenti europei. Ad Aosta stiamo costruendo una mini centrale idroelettrica che alimenterà un elettrolizzatore per produrre idrogeno“. Ma gli incentivi devono essere concreti: “Basta proclami. Voglio vedere i decreti attuativi, perché il diavolo sta nei dettagli. Bene il Clean Industrial Deal, ma servono misure per i costi energetici, che in Italia restano troppo alti”.

“Acciaio strategico, ma l’industria è ancora vista come un problema”

Burelli conclude con un affondo culturale: “L’acciaio è fondamentale per la difesa, il nucleare, le clean tech. Ma l’industria manifatturiera è ancora percepita come inquinante, anche quando non lo è più. Le nostre fabbriche sono ambienti ordinati e tecnologici, non luoghi sporchi o rumorosi. Ogni Paese dovrebbe difendere la propria capacità produttiva: è un tema di strategia nazionale“.

In un’Europa che cerca la transizione ma rischia di perdere interi settori, la partita dell’acciaio è un test fondamentale. E il tempo per giocarla sta per scadere.

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