
A un mese dall’entrata in vigore dei dazi Usa al 50% su acciaio e alluminio, l’industria siderurgica europea è finita in una vera e propria zona grigia. I principali operatori attendono sviluppi, ma nel frattempo la competitività è a rischio e il clima è di totale incertezza.
A denunciarlo è Massimiliano Burelli, amministratore delegato di Cogne Acciai Speciali, gruppo con stabilimenti in Europa, Cina e Stati Uniti, che racconta a Open gli effetti della politica protezionistica rilanciata da Donald Trump.
Le paure degli operatori del settore
“Il mercato è in una posizione di attesa“, spiega Burelli. “Molti clienti americani si sono fermati: il dazio del 50% è impraticabile. E con il voto Usa alle porte, tutto è appeso al 9 luglio, quando scade la tregua commerciale con l’Unione Europea”. In ballo c’è la sopravvivenza stessa di una filiera fondamentale per economia, transizione ecologica e difesa.
Gli Stati Uniti producono appena 80 milioni di tonnellate di acciaio, a fronte dei 130 milioni dell’Europa e del miliardo della Cina. Ma la domanda interna resta alta, e i dazi non l’hanno ridotta: ne hanno solo fatto lievitare i prezzi, spiega l’ad di Cogne.
Il blocco in attesa di sviluppi
“C’è chi continua a comprare, ma la maggior parte dei nostri partner si è bloccata. Nessuno può pianificare con dazi così alti e zero certezze“. Per questo, nel caso in cui Washington confermasse la linea dura, Cogne sta valutando vie alternative: “Potremmo utilizzare lo stabilimento britannico come ponte o cercare mercati Ue alternativi. Ma gli Usa restano importanti: da lì arriva il 10% del nostro fatturato“.

Lo spostamento della produzione sul suolo americano è ipotesi sul tavolo, ma richiederebbe almeno due anni: troppo tempo per chi deve prendere decisioni adesso.
Il timore dell’invasione asiatica e i costi della transizione verde
I dazi potrebbero anche innescare un effetto boomerang sull’Europa: “Più che la Cina, il problema viene da tutta l’Asia: India in primis. Se gli Usa chiudono le porte, l’acciaio asiatico si riverserà da noi, come nel 2018″, avverte Burelli. Da qui l’appello alle istituzioni Ue: “Servono misure anti-dumping, salvaguardie, strumenti rapidi. Il rischio è reale e va affrontato subito”.
Quanto al Green Deal, Cogne si dice pronta: “Compriamo solo energia verde nei nostri stabilimenti europei. Ad Aosta stiamo costruendo una mini centrale idroelettrica che alimenterà un elettrolizzatore per produrre idrogeno“. Ma gli incentivi devono essere concreti: “Basta proclami. Voglio vedere i decreti attuativi, perché il diavolo sta nei dettagli. Bene il Clean Industrial Deal, ma servono misure per i costi energetici, che in Italia restano troppo alti”.
“Acciaio strategico, ma l’industria è ancora vista come un problema”
Burelli conclude con un affondo culturale: “L’acciaio è fondamentale per la difesa, il nucleare, le clean tech. Ma l’industria manifatturiera è ancora percepita come inquinante, anche quando non lo è più. Le nostre fabbriche sono ambienti ordinati e tecnologici, non luoghi sporchi o rumorosi. Ogni Paese dovrebbe difendere la propria capacità produttiva: è un tema di strategia nazionale“.
In un’Europa che cerca la transizione ma rischia di perdere interi settori, la partita dell’acciaio è un test fondamentale. E il tempo per giocarla sta per scadere.