
Immaginate un’esplosione nel cuore della Capitale, una testata nucleare da 50 megatoni che devasta tutto ciò che incontra. È lo scenario ipotizzato dal fisico Marco Casolino, dirigente di ricerca dell’INFN, per spiegare cosa accadrebbe se un ordigno come la bomba “Zar” russa venisse sganciato su Roma. Il bilancio? Tutta l’area interna al Grande Raccordo Anulare vaporizzata, danni fino a Civitavecchia e Latina, milioni di vittime, infrastrutture annientate.
Sopravvivere a un attacco simile è possibile solo a determinate condizioni: distanza dall’epicentro, ma anche posizione all’interno degli edifici. Proprio su questo si è concentrato uno studio scientifico condotto dai professori Ioannis Kokkinakis e Dimitris Drikakis dell’Università di Nicosia (Cipro). Utilizzando modelli avanzati di fluidodinamica, hanno simulato gli effetti dell’onda d’urto di una bomba da 750 kilotoni esplosa in ambito urbano. I risultati parlano chiaro: non tutti i punti di un edificio sono sicuri. Anzi, alcune zone sono da evitare assolutamente.
Secondo la simulazione, luoghi come corridoi, finestre e porte sono i più pericolosi: qui l’aria compressa entra violentemente e può raggiungere velocità fino a 184 m/s, travolgendo le persone come foglie nel vento. Le aree più sicure, invece, sono stanze interne senza finestre o angoli opposti rispetto al punto d’ingresso dell’onda d’urto. L’obiettivo è evitare i flussi canalizzati di aria supersonica che possono causare lesioni gravissime. I ricercatori sperano che questi scenari rimangano simulazioni, ma sottolineano come, in un contesto geopolitico sempre più instabile, sapere cosa fare possa fare la differenza tra la vita e la morte.