
“Non avremmo mai immaginato che quell’uomo potesse fare una cosa del genere. Siamo sconvolti“. Le parole dei genitori di Anastasia Trofimova, 28 anni, risuonano come un’eco dolorosa nell’aeroporto di Fiumicino, dove sono stati ascoltati dagli investigatori dello Sco e della Squadra Mobile.
È l’epilogo di un viaggio lungo e straziante da Omsk, durato un giorno intero, con scali a Mosca e Istanbul, fino all’atterraggio a Roma alle 9:35 del mattino. Un viaggio della disperazione, compiuto per comprendere l’indicibile.

Un aiuto inaspettato per la verità
Il loro arrivo in Italia non è frutto di complesse e lente rogatorie internazionali, ma della pronta e umana iniziativa di “Chi l’ha visto?“. La celebre trasmissione televisiva, nota per la sua dedizione nella ricerca di persone scomparse, è riuscita a rintracciare i familiari in Russia.
Cruciale è stata la mediazione di una telespettatrice che parla la loro lingua, un dettaglio che ha tagliato drasticamente i tempi burocratici, permettendo ai genitori di Anastasia di arrivare tempestivamente a Roma e di riversare il loro dramma nelle mani degli inquirenti. Questo intervento ha accelerato in modo significativo la possibilità di fare luce su una vicenda avvolta nell’ombra.
Una vita in ostaggio, tra segreti e paure
Nelle deposizioni rilasciate agli investigatori, i genitori hanno dipinto un quadro agghiacciante della vita di Anastasia e della sua bambina, avuta da Francis Kaufmann. La loro esistenza, hanno rivelato, era di fatto una prigionia. Anastasia e la figlia erano ostaggi in casa, private dei documenti più elementari, e alla giovane madre era severamente proibito usare il proprio telefono. “Ci scriveva di nascosto”, è la frase che ha squarciato il velo sulla solitudine e sulla paura vissuta da Anastasia.
Questi messaggi clandestini, rubati al controllo asfissiante di Kaufmann, erano gli unici flebili fili che la legavano al mondo esterno, un grido d’aiuto silenzioso da una donna imprigionata nella sua stessa casa. La testimonianza dei genitori ha rivelato una dinamica di controllo e manipolazione psicologica che ha annullato la libertà di Anastasia, trasformando ogni giorno in un atto di sopravvivenza.

Dalla conoscenza a Malta alla tragedia romana: una spirale discendente
La relazione tra Anastasia e il sedicente regista californiano, Francis Kaufmann, era iniziata a Malta. Lì, in un contesto apparentemente idilliaco, si erano conosciuti, e sempre a Malta era nata la loro bambina, venuta al mondo con un parto in casa. Quest’ultimo dettaglio, apparentemente insignificante, acquista oggi un significato sinistro, suggerendo già una propensione di Kaufmann a isolare Anastasia dalle strutture e dal supporto esterno. Da Malta, la coppia era poi giunta a Roma in una condizione di clandestinità, un ulteriore elemento che evidenzia la vita ai margini e l’assenza di punti di riferimento legali e sociali che avrebbe caratterizzato la loro esistenza.
Questa condizione di invisibilità ha reso ancora più difficile per Anastasia cercare aiuto o per le autorità intervenire. La spirale discendente ha trovato il suo epilogo più atroce a Villa Pamphili, uno dei polmoni verdi di Roma, un luogo che avrebbe dovuto essere di pace, ma che si è trasformato in teatro di un crimine efferato. Secondo quanto stabilito dalla Procura di Roma, Anastasia ha perso la vita proprio per mano di Kaufmann, l’uomo che avrebbe dovuto proteggerla e amarla.
La sua morte non è solo una tragica fine, ma il culmine di un percorso di soprusi e isolamento che ha privato Anastasia della sua dignità e, infine, della sua stessa vita. Questa vicenda straziante lascia un’ombra di incredulità e profondo dolore, evidenziando ancora una volta la necessità di riconoscere e combattere le dinamiche di violenza e controllo che troppo spesso si consumano nel silenzio delle mura domestiche.